Progetto Canal Grande da Venezia a Pordenone Un libro e due mostre
Dalle facciate della Serenissima a quelle della Contrada L’editore Santarossa spiega l’iniziativa, coinvolti i negozi

foto missinato pordenone 13.10.04 corso vittorio
«È come prendere per mano il lettore, mostrargli il “Canal Grande” pordenonese, metro dopo metro, dal ponte di Adamo ed Eva alla fine del corso Garibaldi e poi fare lo stesso tornando indietro. Raccontargli le storie dei palazzi, di chi li ha vissuti soprattutto, e fargli scoprire dettagli mai notati prima». Giovanni Santarossa, editore e fondatore della Biblioteca dell’Immagine con la quale da oltre trent’anni dà corpo alle molteplici voci di un territorio periferico e schivo, trattiene l’emozione nell’anticipare il prossimo progetto editoriale – poderoso, va detto – che intreccia in un’operazione unica le anime urbane di Venezia e di Pordenone. Un’emozione governata, espressa con un lessico netto e una sintassi ben sorvegliata, come chi sa di avere una gemma fra le mani e non vuole che vada persa. «Due libri e due mostre, allestite contemporaneamente in città. A palazzo Cossetti, sede della banca Crédit agricole Friuladria alcune delle centinaia di tavole disegnate per il libro di Pier Alvise Zorzi e Pierfranco Fabris “Venezia. Il Canal Grande”, nella galleria Bertoia l’esposizione parallela delle tavole del volume “Pordenone. La città dipinta” di Fulvio Comin e Pierfranco Fabris, la cui uscita è prevista a fine agosto».
No aspetti, facciamo un passo indietro, come e quando è cominciato tutto?
«L’idea mi è venuta circa quattro anni fa, quando mi imbatto in una frase del grande John Ruskin, uno dei massimi scrittori di fine ’800 che scrivendo “Le pietre di Venezia” di fatto l’ha esportata in tutto il mondo».
Ebbene?
«Nel 1860 a un suo amico di Londra scrive: “Il Canal Grande dovrebbe disporre di tremiladuecento sedie, a ogni metro sedersi e guardare, chiudere gli occhi e sognare”. Sulla base di questa frase cerco tutto il possibile sul Canal Grande e scopro che soltanto nel 1827 due grandi veneziani, Dionisio Moretti e Antonio Quadri, disegnano tutti i 3.200 metri su cui si sviluppa il Canale. Nessuno ha mai più compiuto un’impresa simile».
E quindi?
«Circa tre anni fa, convinco l’architetto veneziano Pierfranco Fabris e il figlio del grande storico Alvise Zorzi, che si chiama guarda caso Pier Alvise Zorzi, a mettersi in una gondola virtuale, disegnare di nuovo tutto il Canal Grande e raccontare i 106 palazzi che vi si affacciano. Ne sono venuti fuori un’impresa straordinaria e un libro che sta avendo uno successo eccezionale. Tutto questo materiale sarà visibile per la prima volta in occasione di Pordenonelegge dal 12 settembre a palazzo Cossetti».
Ecco, per Venezia è ovvio, ma Pordenone come c’entra in questo progetto?
«È presto detto. Siccome da pordenonese so bene che anche Pordenone ha il suo Canal Grande, ho chiamato l’architetto Fabris in città e l’ho convinto a partire dal ponte di Adamo ed Eva, percorrere tutta la riva sinistra e la destra per i 1.964 metri lungo cui si snodano i nostri due corsi. Una lunghezza che conta 56 palazzi le cui storie vengono raccontate dal giornalista Fulvio Comin, che fa per Pordenone quello che Zorzi aveva fatto per Venezia».
Non dica che è stato tutto così facile...
«Le dirò di più. Con le prime tavole busso alla porta del sindaco Ciriani, le estraggo assieme ad alcune di Venezia e gli dico: “Caro sindaco, forse vale la pena mostrare finalmente Pordenone”. Ho avuto subito molta attenzione, anche perché è un’operazione che si fa per la prima volta in assoluto. Interesse, devo dire la verità, condiviso anche da Ascom, Camera di commercio e Rotary di Pordenone. Ma c’è anche un altro dato importante».
Ci dica.
«Il 23 agosto 1318, in una notte tragica, tutta Pordenone viene distrutta da un incendio, ed è la Pordenone rinata da questa tragedia che a distanza di sei secoli, il prossimo 26 agosto, sarà mostrata nella galleria Bertoia. Nella stessa giornata il libro sarà offerto ai lettori del Messaggero Veneto a condizioni particolari, con una grande operazione che sarà estesa a tutto il territorio nazionale».
Chissà quante curiosità e storie sono emerse.
«Guardi, Fulvio Comin racconta più che la storia dei palazzi quella dei suoi abitanti. E si scopre, per esempio, che il palazzo Gregoris, il più bello di tutti, era in realtà pensato per Venezia, ma un tracollo economico della famiglia ha fatto sì che venisse costruito qui, dove le pietre erano arrivate. O la curiosa storia dell’enorme portone di palazzo Tinti, o ancora quella della seconda entrata del palazzo dei conti di Porcia per far entrare duecento ospiti. E poi la calle degli ebrei, che in città pochi conoscono. Insomma, è come prendere per mano il lettore e raccontargli da dove veniamo».
In attesa della fine di agosto, però, già dalla prossima settimana lungo le vetrine dei due corsi sarà esposto il sagomato della mostra, il cuore dipinto della città. «Non ricordo che una cosa simile sia mai stata fatta», conclude Santarossa. Dargli ragione è un fatto, seguire il suo suggerimento di guardare con occhi nuovi le bellezze che abbiamo lo è altrettanto.
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