Primo ordine d’arresto dopo una condanna per la “spazzacorrotti”

Per la prima volta in regione, il tribunale collegiale di Pordenone, presieduto dal giudice Iuri De Biasi, si è ritrovato a dover valutare un incidente d’esecuzione legato alla legge “spazzacorrotti”. In base a tale norma si finisce dietro le sbarre in caso di condanne definitive per reati contro la pubblica amministrazione anche per pene che, fino al 31 gennaio 2019, consentivano misure alternative alla detenzione. La Procura, per le sentenze passate in giudicato dopo quella data, è tenuta a emettere un ordine di carcerazione non sospeso e, quindi, esecutivo. Un tempo, invece, il condannato per i reati contro la pubblica amministrazione aveva 30 giorni di tempo per chiedere, a piede libero, misure alternative alla detenzione al tribunale di sorveglianza per pene fino ai 4 anni di reclusione. Ovvero poteva evitare il carcere. Ora non più. La pena non si sospende in quei 30 giorni. Con un esito paradossale: quello di rimanere in cella, a volte, solo per il tempo necessario al tribunale di sorveglianza per disporre misure alternative al carcere.
Il caso esaminato ieri dal tribunale collegiale è quello che riguarda Felicia De Falco, 66 anni, condannata a un anno e otto mesi di reclusione per peculato, senza la sospensione condizionale. La donna, residente a Udine, seguiva la contabilità di un’agenzia di pratiche automobilistiche con una filiale a Sacile, che riscuoteva le tasse automobilistiche a favore della Regione. Ai due rappresentanti legali dell’agenzia e alla contabile era stato contestato l’omesso versamento nei tempi dovuti alla Regione di 348 mila euro di tasse. Le difese avevano obiettato che si trattava piuttosto di peculato d’uso, visto che i versamenti erano stati fatti, anche se in ritardo. La tesi non è stata accolta e il processo si è concluso con tre condanne: sentenza diventata irrevocabile il 27 marzo. Il procuratore Raffaele Tito ha così firmato l’ordine di carcerazione, non sospeso, per De Falco.
II difensori Alessandro De Paoli del foro di Pordenone e Fabio Federico del foro di Roma si sono opposti, chiedendo di sospendere l’esecuzione della pena, ritenendo che la norma sia incostituzionale e inapplicabile per i reati commessi prima del 31 gennaio. L’orientamento delle Procure è di segno opposto, ed è stato sostenuto ieri in aula dal procuratore Tito. «C’è una grave ingiustizia di fondo – ha osservato l’avvocato De Paoli – in questa legge. Chi è stato condannato prima della sua entrata in vigore confidava di poter chiedere una misura alternativa sotto i quattro anni di reclusione. Non c’è stata una riflessione sugli effetti indiretti prodotti, in carcere è finita tanta gente con pene minime. Già tre tribunali hanno rimesso la questione alla Corte costituzionale dopo che abbiamo depositato la nostra istanza. Confidiamo che lo faccia anche quello di Pordenone».
I giudici si sono riservati. La difesa valuterà anche un’istanza di misura alternativa al tribunale di sorveglianza. —
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