Pordenone, la storia dell'insegnante non vedente che ha conquistato il liceo

PORDENONE. «Prof, con lei ho imparato a vedere». Dà i brividi la frase sussurrata da una liceale del Leopardi-Majorana alla sua docente, Daniela Floriduz, professoressa non vedente in cattedra da 15 anni. I ragazzi davanti alla cattedra imparano a vedere oltre lo sguardo. Ma chi l’ha detto che la scuola va a rotoli?
«I miei studenti vogliono dire che sono riusciti a guardare la realtà oltre la superficie – commenta Floriduz, docente di filosofia e storia nel classico a Pordenone -. Insegno a scardinare il primato della vista». La sua battaglia? «Mi batto per fare in modo che aumenti il numero degli insegnanti non vedenti – prosegue Floriduz, che è anche presidentessa dell’Unione italiana ciechi provinciale -. Siamo un valore aggiunto per dare concretezza alla cittadinanza, al modello educativo di integrazione».
Ma come riesce a gestire la classe, questa straordinaria insegnante di 44 anni? «Con me gli studenti non copiano nelle verifiche – assicura Floriduz -. Il primo motivo è pratico: c’è un assistente che spesso mi affianca. Il secondo è che, credetemi, me ne accorgerei e il terzo è il fattore del rispetto responsabile. Non posso escludere che si distraggano durante le lezioni, ma proprio per questo li coinvolgo in lezioni interattive».
«L’insegnante disabile è un valore aggiunto per la scuola – dice convinta Floriduz –. La presenza a scuola di docenti diversamente abili, ciechi come me o con altri problemi, esprime concretamente il valore dell’integrazione. Insegnare significa anche cambiare la realtà in meglio, superando diversi ostacoli: mi piace la freschezza dei ragazzi e il loro modo entusiasta di crescere».
Cambiare le cose in cattedra significa anche un modo nuovo di insegnare. «La cecità costringe a cercare nuove strade e nuove metodologie – spiega la professoressa di filosofia col pc col sintetizzatore vocale e la tavoletta Braille in borsa –. Mi piace molto fare questo mestiere perché imparo io stessa dai miei studenti. Ho avuto un grande maestro di vita e di scuola: Francesco Andreoli, che ha dato un’impronta speciale al liceo Grigoletti e anche a tanti di noi. Ci diceva che bisogna farsi delle flebo di autostima, di superare i limiti. E aveva ragione».
«Il tatto è il senso principale, ma poi lo spazio si coglie con l’udito – racconta Floriduz -. Ascoltare lo spazio è molto utile per capirne le grandezze, a seconda del riverbero della voce sugli ostacoli materiali. Fate la prova bendati in una stanza buia: lo consiglio sempre agli studenti per cercare di “ascoltare” il proprio corpo».
Da bambina la professoressa è stata, nel 1978, la prima studentessa non vedente integrata in una classe di normodotati. «Il problema non sono le barriere architettoniche lungo le strade o nei locali – prosegue la docente -, ma quelle della tecnologia che l’editoria non aggiorna. Tanti libri scolastici non sono in pdf ma soltanto su carta. Si passa molto tempo a scansionare i testi, pagina dopo pagina, per trasferirli al computer».
«Il segreto – secondo Floriduz – è non arrendersi. Se hai un handicap devi metterti in gioco e i ragazzi lo capiscono. Hanno bisogno di adulti coinvolti e mi considerano uguale agli altri colleghi». Prossimo traguardo? «La formazione degli educatori, la proposta di stage nell’alternanza scuola-lavoro all’Uic per gli studenti e cambiare la “Buona scuola” che non tiene conto di un fattore: ognuno vive l’handicap a modo suo».
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