Paolini: «Faccio la spalla come Gianni Agus»

«Faccio la spalla. Finalmente posso fare quello che è stato il mio modello nella vita: Gianni Agus, la più grande spalla che abbia mai visto, assieme a Carlo Campanini».
Il tono è ovviamente ironico e scherzoso, ma nasconde un fondo di verità. Perché la spalla, Marco Paolini, la fa davvero nella sua nuova avventura, Song n. 14, un concerto teatrale di Lorenzo Monguzzi, in programma ad Aviano, mercoledì, vigilia di Ferragosto, alle 21 in piazza Duomo, unica tappa in Friuli Venezia Giulia. E, attenzione, a ingresso libero. Uno spettacolo che prevede l’accompagnamento teatrale di Paolini, appunto. «Tra una canzone e l’altra mi sono costruito dei racconti che piano piano hanno preso una strada che all’inizio non mi era chiara. E poi invece si sono strutturati secondo una scaletta precisa, per cui io racconto in qualche modo una cosa che non vorrei venisse assimilata ai panda e ai beni ambientali». E cioè? «Parlo del lavoro culturale». Nientemeno!... «Eh sì! parlo di quello che ho fatto in qualche maniera tutta la vita. Però girato al futuro e non al passato».
Niente album, i ricordi dell’infanzia e gli aneddoti degli esordi, allora? «Quelli magari saltano fuori quando, se il pubblico li chiede, facciamo dei bis, e allora mi sfogo e può capitare che mi metta anche a cantare. Anche se è meglio non farlo sapere troppo in giro».
Torniamo al lavoro culturale... «Parlo di un mestiere, il mio, che non è nato con l’idea di fare l’attore, almeno per quello che mi riguarda e infatti ho fatto un po’ di tutto in teatro, dal tecnico all’organizzatore. Mi interessava capire e verificare a che tipo di aspirazione corrispondeva quel mio voler fare il teatro, che tipo di implicazioni aveva e come si confrontava con il suo territorio. Io non sono un individualista, voglio avanzare seguendo progetti. E non sono un’avanguardia che crea pensieri, ma che vive per mettere in circolazione i pensieri». Risultato? «Il mio, nel caso di Song n. 14, è diventato un raccontare come è cambiato intorno il paesaggio e come sono cambiato io in rapporto a questo. Il tutto in forte connubio, e stimolato dalle e con le canzoni di Lorenzo, che sono a loro volta un viaggio attraverso l’Italia. Ci hanno sempre detto, prosegue Paolini, che fare il teatro è sempre meglio che lavorare. Ecco, io provo a raccontare il senso di questo, e di prendere le parti di chi prova sul serio a farlo il lavoro culturale, di chi ha dei sogni, di chi non rinuncia a farlo in mezzo a evidenti difficoltà, di chi non si arrende al realismo dei tagli. Raccontandolo con ironia, senza comizi. Rivendico la bellezza di questo lavoro, indipendentemente dall’aria che tira e lo dedico a tutti quelli, soprattutto piccoli organizzatori, che sono convinti, come me, che seminare bisogna... sempre. È la radice dei racconti di Song n. 14».
Marco Paolini e Lorenzo Monguzzi: un tandem che ha funzionato molto bene in questi anni, a partire da La macchina del capo. «Quello è stato un punto di svolta. Ma in Song n. 14 – precisa Marco – è Lorenzo il protagonista. Di solito è lui che sta un passo indietro a me, ’sta volta volentieri sto io un passo dietro a lui. E gli faccio da spalla e, credetemi è davvero un gran bel piacere e divertimento: le serate mi filano via come acqua. Lo spettacolo poggia soprattutto sulle spalle di Lorenzo ed è prevalentemente musicale. Per la precisione è musical teatrale, sia quello che faccio io – entrare negli intervalli che valgono il mio spazio per il racconto breve –, sia i giochi che facciamo insieme, in particolare nei bis, sono di natura teatrale».
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