Palasport Carnera, ultimatum al Comune di Udine

La Polese ha notificato a sindaco e Rup una diffida: ripresa dei lavori, in cambio del congelamento delle richieste risarcitorie
Udine 17 Settembre 2013 carnera Telefoto Copyright Petrussi Foto Petrussi
Udine 17 Settembre 2013 carnera Telefoto Copyright Petrussi Foto Petrussi

UDIN. Lo scontro tra il Comune di Udine e l’Ati costituita tra Polese spa di Sacile e Mecoin di Milazzo per la ristrutturazione del palasport Carnera si era consumato tra dicembre e gennaio a suon di lettere di diffida, mail al vetriolo e reciproche risoluzioni anticipate del contratto.

Sullo sfondo, intanto, il cantiere da 3,2 milioni di euro allestito nell’impianto dei Rizzi a fine 2012 continuava - e continua - a languire. Ora, ad aggiungere un altro capitolo alla querelle è il nuovo atto di diffida (il secondo) presentato dalle due imprese a palazzo D’Aronco: una sorta di ultimatum, finalizzato a sbloccare l’empasse, rimettendo i lavori nelle mani dell’Ati.

In cambio, gli imprenditori offrono il congelamento delle riserve per circa 1,5 milioni di euro presentate in corso d’appalto. Come dire: deponiamo le armi, fino a quando l’opera non sarà completata, per il bene nostro e della comunità, altrimenti costretta a sobbarcarsi il peso dei maggiori costi e dell’allungamento dei tempi che il reperimento di una nuova ditta richiederebbe.

L’atto è stato notificato ieri mattina al sindaco Furio Honsell e alla Responsabile unica del procedimento, Barbara Gentilini, dall’avvocato Maurizio Miculan, che nel procedimento assiste il legale rappresentante della società capogruppo, Pio Polese.

Il documento ripercorre le tappe della vicenda, a cominciare dalla sospensione dei lavori decisa dal Rup il 20 giugno scorso, ossia alla vigilia della scadenza contrattuale, per redigere la perizia di variante resasi necessaria a seguito dell’individuazione di un «errore progettuale» nella messa a norma delle coperture.

«Cinque mesi di solleciti da parte dell’impresa per l’approvazione della perizia - si legge - portavano al nulla assoluto da parte della stazione appaltante, con enorme aggravio di costi e danni in capo all’appaltatrice, pur pronta a riprendere i lavori».

Ma è soprattutto sulla singolare tempistica delle battute finali del contenzioso che la difesa si è soffermata nella ricostruzione presentata alla controparte. È il 19 dicembre quando l’impresa esecutrice notifica al Comune l’atto di risoluzione del contratto per inadempimento.

Ed è in quello stesso giorno che la perizia di variante - attesa da quasi sei mesi - viene finalmente approvata. Orbene, incurante del passo indietro comunicato dalla Polese, il 20 dicembre il Rup ordinò di dare all’impresa disposizione per l’immediata ripresa dei lavori. E di farlo quello stesso giorno. «Con email, si noti - osserva l’avvocato Miculan - trasmessa alle 12.04, la direzione dei lavori convocava l’impresa al cantiere per le successive 15.30».

La Polese, va da sè, venne a saperlo troppo tardi. L’“equivoco” si sarebbe ripetuto di lì a poco. «Sempre per il tramire del direttore dei lavori - continua la diffida - il 26 dicembre, giorno di Santo Stefano, assumendo che l’impresa non aveva adempiuto all’ordine fissato d’imperio il 20 dicembre, la convocava per la ripresa dei lavori, sempre via email (ordinaria e non certificata) per il 7 gennaio». Considerata la pausa per le festività natalizie, anche questo tenativo risultò intempestivo.

Fu grazie ai successivi contatti avviati tra il direttore dei lavori, Marcello Conti, e l’Ati se il 24 gennaio si approdò a una bozza di verbale di ripresa del cantiere. La formale sottoscrizione venne fissata per il 29 gennaio.

Ma quella mattina, il direttore dei lavori si vide costretto a comunicare «a sorpresa» di non poter procedere con la sottoscrizione, «per le disposizioni ricevute nel frattempo dal Rup, sulla base della determinazione del 28 gennaio di risoluzione del contratto per asseriti “grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo” dell’impresa».

Da qui, il doppio binario imboccato ora dalla Polese. Da un lato, la disponibilità a «dare immediato corso ai lavori» e «rinviare alla loro ultimazione ogni questione relativa agli aspetti risarcitori» e la conseguente diffida al Comune ad assumere una decisione sulla proposta, «con evidente risparmio di denaro pubblico - si precisa - rispetto ai maggiori costi connessi all’eventuale riappalto».

Dall’altro lato, l’ipotesi, in assenza di riscontro entro 10 giorni dalla notifica (e, quindi, da ieri), di «procedere alla tutela dei propri diritti in ogni sede giudiziaria, per fare accertare la conformità o meno dei tempi e dei modi con cui il Comune ha fin qui agito».

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