Operazione pedofilia online, la neomamma infiltrata tra gli orchi: «Così in rete ho incastrato quelle persone»

In tutta Italia 17 arresti tra cui un friulano residente in regione. Una poliziotta di Milano in prima fila nella maxi-operazione  che ha smascherato 16 associazioni nel mondo

MILANO. «Ci sono notti che non si riesce a dormire. Ti tornano in mente i flashback di quelle immagini così violente, crudeli. Fuori dalla tua squadra, dai tuoi colleghi, nessuno può capire. A una mamma, a un compagno non puoi raccontare perché le indagini sono coperte da segreto». Un segreto con cui Alice, 007 della rete, agente sotto copertura della polizia postale di Milano, ha convissuto per due anni.

Mentre portava in grembo il suo primo figlio, si è finta pedofilo del web per arrestare quelli veri. Trentasette anni, da dieci lavora nella squadra specializzata nella lotta alla pedopornografia, per Alice (nome di fantasia) è stata la prima indagine sotto copertura. Capelli castani raccolti in una coda, divisa e mascherina d’ordinanza, racconta la sua esperienza. Con i colleghi, ha lavorato per preparare la maxi operazione che ieri ha colpito sedici associazioni criminali in tutto il mondo, con 432 pedofili identificati e 17 arrestati solo in Italia.

Che cosa significa per una mamma fare questo lavoro?

«È difficile per tutti. Per una mamma e un papà ancora di più. Senza figli si riesce forse a metabolizzare meglio, anche se questo lavoro non è mai facile da gestire psicologicamente, si ha a che fare con immagini troppo cruente: a volte le vittime sono neonati. I colleghi che prima di me avevano figli mi raccontavano che tornare a casa dopo è più difficile. E, all’inizio, mi ci sono ritrovata».

Ci sono momenti di rabbia?

«Mai. Prevale la voglia di beccare il pedofilo, di riuscire a identificarlo. E di proteggere i bambini. Che è più forte, forse, quando ne hai uno che ti aspetta dopo il lavoro, e tutti i giorni tocchi con mano la sua innocenza, la sua purezza».

In gravidanza ha mai pensato di lasciare l’indagine?

«Lavoravo così tanto che spesso il capo, Rocco Nardulli, la sera si arrabbiava perché facevo troppo tardi, ma tutti facevamo tardi. Il peggio è arrivato quando sono rientrata dopo la maternità. L’indagine era in corso e c’è stato un momento in cui ho pensato di non riuscire ad andare avanti».

Chi l’ha aiutata?

«Il supporto psicologico offerto a tutti, ma soprattutto i colleghi che mi hanno dato la possibilità di rientrare gradualmente. È un lavoro di squadra, si lavora sempre insieme, senza la squadra è impensabile».

Com’è iniziata l’indagine?

«Due anni fa è arrivato un esposto anonimo. Individuare il primo gruppo Telegram non è stato facile. Ma, una volta trovato, si è aperto un mondo, un sistema di scatole cinesi. C’erano tanti utenti italiani e stranieri. All’inizio erano solo nickname, che inviavano link per accedere ad altri gruppi Whatsapp e Telegram, dove poi si scambiavano foto e video pedopornografici. Abbiamo catalogato 55 mila file unici».

Chiunque può accedere a questi gruppi?

«All’inizio tutti vengono accettati, ma ci sono regole severe per permanere. E per noi indagare rispettando le regole, i paletti giuridici. I gruppi funzionano col baratto. Quanto più le immagini che invii sono inedite tanto più ha un valore ed è gradita la tua presenza nel gruppo. C’era chi inviava immagini delle parti intime di una bimba che spacciano per la nipote o la sorellina. Poi non sempre è così. Quando identifichi il pedofilo scopri, magari, che in realtà non ha proprio una nipote o una sorella».

Le differenze tra i gruppi?

«Spesso si distinguono perché nell’intestazione è già precisata la fascia di età delle piccole vittime raffigurate nelle immagini. Per esempio bambine 0-3 anni, o 8-10 anni».

Come si comunica?

«In alcuni si interagisce in italiano, in altri in inglese, se ci sono stranieri. Ma i pedofili del web in generale hanno un loro linguaggio. Lo usano per evitare di farsi identificare: è fatto di sigle, con l’esperienza abbiamo imparato a conoscerle».

Si parla con le immagini?

«Non ci sono grossi dialoghi. Capita però che, soprattutto gli italiani, capiscano di aver a che fare con un italiano nel gruppo e ti scrivano in privato. Loro sono più attivi soprattutto nelle ore serali».

Vi è capitato di identificare delle donne?

«Non in questa indagine: magari l’intestatario della scheda telefonica è una donna ma non vuol dire nulla. Gli intestatari sono fittizi, non corrispondono mai col pedofilo».

Chi sono i pedofili in rete?

«Chiunque può esserlo. Si va dai ragazzi di 17, 18 anni, con una vita normale, gli amici, la fidanzata, al professionista di 35, al nonno di 70. Tante volte è l’insospettabile collega, il vicino di casa. Lo incontri tutti i giorni e non lo sai. Non puoi neanche immaginarlo».

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