«Oggi fare l’allevatore non dà prospettive»

POVOLETTO. Si sono sempre dedicati ad agricoltura e allevamento: il primo documento che lo prova, l’atto con cui l’avo Francesco ebbe i primi terreni, tuttora dei discendenti, è del 1794. La famiglia Adami è di origine carnica – da qui il nome del loro agriturismo “Ai cjargnei” –, arrivarono a Povoletto per un lavoro nella chiesa. Come si usava allora, l’avo Francesco fu pagato in terreni.
Da qui nacque l’attività e ogni generazione ha costruito qualcosa, dalla casa a una stalla, a un ampliamento fino a oggi, quando l’azienda di famiglia, dal 2003, è passata a Michela che, ristrutturando un edificio con nucleo ottocentesco, ha creato il bed and breakfast. In tre anni ha ospitato circa 4 mila turisti, con ottime medie su Trip Advisor e Booking.com. L’attività di allevamento di polli da carne è nata alla fine degli anni ’70: per il padre di Michela, Luigi, classe 1939, fu una scommessa imprenditoriale quasi pionieristica.
Oggi l’azienda è di medie dimensioni, i pulcini arrivano nel capannone (5 mila mq), appena nati e sono fatti crescere per 55 giorni: in 4 cicli l’anno si superano i 300 mila polli allevati.
«Chi fa l'allevatore – testimonia Michela – è una persona che ama gli animali e si dedica a loro, per il tempo che li tiene con sé per poi offrire il meglio come cibo a chi ci sta intorno. Anche noi mangiamo i nostri polli». È un lavoro che si fa per passione: un allevatore lavora 365 giorni l’anno e dorme col cellulare sempre acceso. «I nostri margini – spiega però – sono così ristretti che non giustificano il tempo dedicato». I contratti di soccida si basano su tabelle che concedono all’allevatore margini sempre minori a fronte di investimenti economici, tecnologici ed energetici sempre più onerosi. «La tabella di soccida che dava ai miei genitori la possibilità di pensare a nuovi capannoni – conferma Michela – oggi non dà a me le stesse prospettive».
«Se una volta una famiglia vendeva una vacca per comprare un campo – altro esempio – oggi non si paga a volte neanche la macellazione».
E c’è la burocrazia. Una prospettiva arriva dalle linee biologiche. Michela, nonostante le difficoltà, vede nei giovani il futuro dell’agricoltura. Dopo la laurea scelse di restare in azienda («Vedevo manager comprarsi la casa in campagna dopo una vita di lavoro e io ce l’avevo già»), oggi è diverso: «I giovani vedono che l’agricoltura può dar da mangiare tutti i giorni».
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