Non solo preghiera La vita delle monache tra frutteti, marmellate e sciarpe in cashmere

Sorella Daniela, ragioniera, continua a far di conto. Marina ha compiuto studi giuridici, Maristella è maestra d’asilo, Anna, la più giovane, psicologa, Giulia produce icone. Chi ha un passato di segretaria d’azienda e chi di infermiera. Ognuna mette in pratica i suoi talenti e impara da quelli altrui.
Scordatevi grate, severità e austerità, quando raggiungete Taviela di Poffabro. Nel cuore della Val Colvera si respira aria di serenità, preghiera e lavoro: dal 1998 ospita, in quella che fu una casa per ferie diocesana, il monastero benedettino di “Santa Maria Annunciata”.
Tre i voti emessi dalle nove monache, che vivono la “clausura monastica”: conversione dei costumi, «un percorso che costruiamo giorno dopo giorno», stabilità e obbedienza. Il significato di questa scelta? «Le cose esterne colmano finché durano. Non ci manca nulla alla pienezza di vita».
In base alla regola di San Benedetto, ora et labora, la giornata comincia alle 5.30 con la preghiera, la messa alle 8 e il lavoro sino a mezzogiorno. «Se c’è frutta si prepara la marmellata – dice la badessa suor Gigliola –; si dipingono ceri e candele per i battesimi, pergamene e icone a richiesta, si restaurano libri». Col materiale in scadenza raccolto nei supermercati confezioniamo le borse alimentari: «La provvidenza si fa sempre sentire».
Alle 12.15 l’ora sesta: «La chiesa è aperta, tutti possono prendere parte alla preghiera». Il pranzo è comunitario: una monaca legge, una serve; il disbrigo è collettivo.
Gli ospiti non mancano mai: «Sacerdoti che desiderano pregare o meditare, l’ultimo è stato un arcivescovo della Tanzania, e tante persone da ogni dove». Sull’altare della cappellina campeggia il mosaico dono di una comunità monastica ortodossa della Grecia, i cui monaci frequentarono la Scuola del mosaico di Spilimbergo. «Con una ragazza musulmana abbiamo condiviso la preparazione del pane. Con un’amica giapponese buddista ci scambiamo ricette orientali: così implementiamo la conoscenza».
Il telefono suona spesso: risponde la monaca portinaia. «Chiamano persone che non sanno come uscire da qualche problema, che necessitano di un consiglio. Molti ci chiedono preghiere per drammi personali».
Il pomeriggio è tempo di riposo e meditazione nelle celle. Alle 18, lectio e vespri. Quindi la cena, momento comunitario, e il riposo, dopo la benedizione della badessa, gesto compiuto ad ogni uscita del convento «come succedeva nelle famiglie».
Una famiglia di Frisanco alleva 60 capre cashmere. «Condividiamo un progetto e ne teniamo alcune per l’ecosfalcio, le passeggiate con i bambini, la mungitura e la lavorazione della lana cashmere».
Il conte Filiberto ha generosamente messo a disposizione un terreno a Gravena, località amata in tutto il Maniaghese. «Abbiamo bussato alla cementeria Buzzi Unicem di Fanna e tramite il direttore Paolo Maggi, che ringraziamo, è stata compiuta la pulizia. Quando si è diffusa la voce che le monache stavano disboscando, molti sono accorsi ad aiutarci, ed anche la ditta Antonini. Con l’aiuto di volontari abbiamo recintato il terreno con pali e reti usate. Giorgio e Marco Tramontina hanno piantato 80 alberi da frutto per la produzione di marmellata. Nei pressi del monastero, con l’aiuto degli alpini abbiamo ristrutturato un prefabbricato dove diamo ospitalità a famiglie bisognose».
Cinque anni fa al monastero è stata donata una stalletta fatiscente nel centro di Poffabro. Le monache hanno deciso di restaurarla per rispondere a situazioni di bisogno. Grazie alla Fondazione Friuli – che ha erogato un primo contributo di 20 mila euro, un secondo di 10 mila e un terzo di 15 mila – l’immobile è stato ristrutturato. «Il restauro è stato eseguito a mano», racconta il direttore dei lavori ingegnere Sergio Dell’Anna con la collega Giulia Di Bernardo. «Sono state recuperate le murature in pietrame fugato a vista in arenaria, tipica del luogo, e architravi in castagno». Il tutto per continuare l’opera di accoglienza: «Qualsiasi percorso si stia compiendo, c’è sempre tempo e modo per tornare lungo il sentiero del Signore – conclude la badessa –. Preghiamo per questo, per tutti, pronte ad aiutare chi intende provarci. Ne vale la pena». —
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