«Non conosciamo Totò Riina». E per scusarsi scrivono al boss

SAN VITO DI FAGAGNA. Una vita di lavoro, di sudore e fatica per rendere quel locale cui aveva dato il nome della moglie un’attività florida, l’agriturismo “Alle Ortensie”. Tutto svanito in poco tempo. E oltre a ritrovarsi imputati di turbativa d’asta e minacce si sono sentiti rivolgere accuse di presunte amicizie con il boss mafioso “Totò o û curtu”.
E così Enzo Lauzzana e la moglie Ortensia Michelutti, decisi a lottare fino in fondo per far sentire la loro verità, hanno preso carta e penna e hanno scritto al boss mafioso per mettere in chiaro le cose. «Egregio signor Salvatore Riina – è il testo della lettera – siamo marito e moglie, due figli, una famiglia contadina di San Vito di Fagagna». In quei fogli c’è tutta la storia dell’agriturismo, aperto 26 anni fa. Loro hanno appreso dalla carte processuali che qualcuno aveva attribuito loro il legame con il boss. «Hanno sostenuto che mio figlio era fidanzato con la figlia o la nipote di Totò Riina – racconta Enzo Lauzzana – non era vero, come non lo erano le accuse che mi hanno rivolto».
E proprio per chiarire questi fatti è stata scritta la lettera. «Io e la mia famiglia non abbiamo in nessuna circostanza nominato il suo nome e la sua famiglia – si legge nella missiva indirizzata al boss -: Mi scuso di averla disturbata ma mi sentivo in dovere di informarla».

Di seguito c’è il racconto di come la famiglia fece un mutuo con la Banca per ristrutturare l’immobile. «Lavorando con le lire tutto era andato bene. Arrivato l’euro le cose sono cambiate - racconta Lauzzana – la crisi ci ha portato a non far fronte alle rate dei mutui, allora abbiamo chiesto la rinegoziazione».
Ma la banca non accettò, poi l’immobile su cui i coniugi vantano un diritto di uso e di abitazione perpetuo fu messo all’asta. Quell’immobile fu comprato da un notaio per 62 mila euro. Lì sono iniziati i guai dei coniugi, che hanno fatto partire una serie di denunce per poi ritrovarsi a loro volta denunciati.
«La prima volta che vidi l’acquirente dell’edificio fu in tribunale al termine dell’asta – puntualizza Lauzzana – e non l’ho mai minacciato. Piuttosto, gli dissi che in quello stabile sarebbe entrato solo dopo la nostra morte. Non dissi altro – assicura –. Sono stato accusato di stalking, accusa che il giudice ha riqualificato, e anche di aver minacciato l’acquirente in occasioni in cui mi trovavo solo a passare.
La verità – sostiene Lauzzana – è che quell’agriturismo faceva gola a molti, in più occasioni ricevemmo proposte e pressioni che abbiamo rifiutato. Alla fine è passato di mano per pochi soldi. Sembra quasi che fosse tutto già stabilito. Abbiamo raccolto le testimonianze di altri proprietari che hanno avuto esperienze simili e altre ne stiamo cercando. Noi non molliamo – avvertono i coniugi –, difenderemo il nostro lavoro e continueremo a tenere aperto l’agriturismo fino alla nostra morte».
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