Mostro di Udine, 13 donne uccise A "Chi l'ha visto?" nuovi indizi

UDINE. A chi apparteneva la chiave inserita in un anello d’acciaio che Marina Lepre stringeva fra le mani quando fu uccisa? Era dell’uomo che la sgozzò, sfregiandola con una “s” incisa sul ventre per poi abbandonarne il corpo sul greto del Torre? Sono passati 22 anni dall’ultimo delitto compiuto dal “mostro di Udine”. Aprire quella porta significherebbe entrare nella sua casa e dargli finalmente un nome. È anche per questo che la redazione della trasmissione tv Chi l’ha visto? ha deciso di occuparsi del caso.
L’arrivo della troupe. È finita fra i faldoni dei “cold cases”, ovvero fra i delitti irrisolti, la scia di sangue versata dalle 13 donne massacrate a Udine fra il 1971 e il 1989 da uno (o più) serial killer ancora senza nome. Ma quelle donne hanno qualcosa da raccontare, tanto che diventeranno le protagoniste di una puntata di Chi l’ha visto? con un servizio a firma dei registi Emmanuele Agostini, Giuseppe Pizzo e Cesare Squitti in onda, probabilmente, già mercoledì. Da venerdì la troupe composta da Pizzo, Squitti, un operatore e un assistente, intervista magistrati, carabinieri, poliziotti e testimoni, ricostruisce le scene dei crimini in cui vennero ritrovate le vittime, mentre Agostini, della redazione di Chi l’ha visto?, da un mese sta ricostruendo la vicenda. Non solo: la storia di quelle donne finirà in un libro fra cronaca e finzione – opera di Elena Commessatti – che si prefigge di ridare dignità a donne fragili, uccise da mano sconosciuta.
I testimoni. Oltre una decina di persone da intervistare. Sono le fonti cui la redazione di Rai3 si è rivolta per un viaggio a ritroso nel tempo. Dall’ex capo della Procura Giampaolo Tosel al successore Giancarlo Bonocore, dall’ispettore della Squadra mobile Luigi Fantini all’ufficiale di polizia giudiziaria Roberto Sgrazzutti, fino ai carabinieri del Nucleo operativo del Comando provinciale che individuarono il comune denominatore fra i delitti, primo fra tutti il capitano Fabio Pasquariello, comandante del nucleo investigativo che ha ripreso in mano le indagini seguendole personalmente nell’ultimo decennio.
La pista del serial killer. Fu Luigi Fantini, ispettore della Squadra mobile, a imboccare la pista degli omicidi seriali riconducendoli a un uomo finito in carcere per aver ucciso la convivente e averla seppellita. Una pista che si rivelò infondata, ma che tracciò la via. Poi, una decina di anni fa, i carabinieri del Nucleo investigativo trovarono un denominatore comune. «Un’ipotesi avvalorata dalle perizie effettuate dal medico legale Carlo Moreschi – racconta Pasquariello – che individuò nel taglio al ventre praticato su alcune delle vittime, con una tecnica praticata in ostetricia, l’elemento unificante». Si trattava di Maria Bellone (19 anni, uccisa nell’80), Luana Giamporcaro (22 anni, ’83), Aurelia Janushewitz (42 anni, ’85), Marina Lepre (40 anni, ’89) e forse anche Irene Belletti (la prima a essere assassinata nel 1971). Fu indagato un anziano medico udinese specializzato in ginecologia. Poi tutto venne archiviato e il professionista morì poco dopo.
Tre anni fa i familiari della Lepre hanno consegnato quelle chiavi ai carabinieri, chiavi che non aprivano la porta di casa della vittima, né di alcuno dei familiari. E che hanno ora schiuso nuovi orizzonti di indagine.
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