Morto Domenico Bortolotti, padre del palazzo di Giustizia

UDINE. Ha cambiato il volto della città a partire dagli anni ’70. Lo ha fatto nel suo inconfondibile stile basato sull’uso dei materiali friulani, dal cemento al mattone, proiettati sempre alla modernità, a uno sguardo rivolto al mondo. Una sfida per quei tempi. Una sfida vinta perché ancora oggi quelle opere risultano attuali nella loro funzionalità e nel senso estetico che le rendono uniche. Sfrontato, avvincente, estroverso, ma soprattutto “coraggioso”: questo era Domenico Bortolotti.
L’architetto si è spento nella sua casa di Buttrio dove abitava con la consorte Diana d’Osualdo, anche lei del mestiere.

Bortolotti era nato il 6 luglio 1926. Originario di Majano si era laureato a Venezia e aveva esercitato poi la professione a Palazzo Tinghi, dove fanno bello sfoggio gli affreschi del Pordenone, insieme all’architetto Toso e all’ingegnere Torossi. Pochi giorni fa aveva aperto lo studio mostrando le sue opere in occasione delle Giornate del Fai (Fondo ambiente italiano) di primavera.
E sempre di recente era stato intervistato dalla rivista dell’Ordine degli Architetti, dove lui aveva rivestito anche il ruolo di presidente, per i 50 anni di professione.
Aveva insegnato architettura a Venezia e, raggiunto l’apice della carriera, gli era stata dedicata una biografia all’interno del catalogo della mostra "Udine ’900". Anche in Veneto era riconosciuto come uno dei massimi esponenti del settore. Aveva curato l’allestimento della mostra “da Giotto a Mantegna” al Palazzo della Ragione a Padova. L’arte, in Bortolotti, si mescolava sapientemente al saper costruire tipico di queste terre. Preziose le sue collaborazioni con scultori e pittori. Ma anche i libri di cui era fornita la sua biblioteca. Domenico si ispirava per le sue progettazioni a ciò che il mondo offriva a quel tempo.

E da quelle idee partirono le grandi opere che stravolsero l’assetto urbanistico di alcuni quartieri udinesi. A Sant’Osvaldo progettò per esempio la chiesa di San Paolo, in piazzale Osoppo lavorò per le Due Torri del condominio alle “Alpi”, e non lontano l’ex Palazzo della Regione in via Caccia. Ma il suo nome resta soprattutto al palazzo della giustizia. Fu il padre del tribunale a tutti gli effetti. E poi ancora, progettò Villa Favero e Casa Cecotto, allestì la Galleria d’arte antica nel castello di Udine, restaurò casa Durisatti a Gemona e Palazzo Ricchieri a Pordenone, dove oggi ha sede il museo civico d’arte. Creò anche il primo asilo nido in città, in via della Roggia.
«Domenico – ricorda la nuora Francesca Agostinelli – è stata una persona frizzante, vivace, uno dei personaggi più in vista della Udine dagli anni ’70 agli anni ’90. Di sicuro le sue opere non lasciarono impassibili i critici per la sfrontatezza. Ha osato e portato coraggio stravolgendo alcuni canoni dell’epoca. Era un friulano che guardava al mondo. Abbinava il saper fare dell’artigiano udinese con le tecniche tipiche della modernità internazionale».
Ed ecco quindi che il cemento a vista, tipico delle sue opere, sorprendeva per l’esteticità che sapevano regalare gli interni.Il tocco artistico c’era sempre. «Nella vita – aggiunge Francesca – era un uomo di grande personalità. Amava circondarsi di artisti. Ha lavorato con moltissime persone. Amava la lettura e la cultura».
Domenico Bortolotti lascia la moglie Diana, e i figli Laura, Massimo e Matteo.
La data dei funerali verrà resa nota nella giornata di oggi.
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