Mobilieri da 50 anni I segreti di un successo

I primi passi nel garage di uno dei soci, l’alluvione nel 1965 portò via tutto Il primo capannone un anno dopo. La storia di un’azienda legata al territorio
Di Claudia Stefani

PRATA. La prima commessa del mobilificio Santa Lucia furono 4 armadi consegnati a Rambaldini di Azzano Decimo: 100mila lire l’incasso. Se lo ricorda come fosse ieri Ferruccio Piccinato, uno dei soci fondatori dell’azienda pratese che in questi giorni festeggia i cinquant’anni di attività.

Gli esordi. «Era il 23 dicembre del 1965 – rammenta Piccinato – Dieci giorni prima avevamo inaugurato lo stabilimento dove siamo tuttora. In quegli anni non c’erano listini: abbiamo consegnato gli armadi e siamo stati subito pagati. Gli ultimi dieci anni di crisi hanno cambiato tutto». I primi soldi, la speranza di un futuro per l’azienda e tanto, tanto lavoro: la storia del mobilificio Santa Lucia è la storia dello sviluppo industriale ed economico, ma anche sociale e culturale, di un intero territorio. L’idea è partita dai sei soci fondatori che lavoravano nel mobilificio Tonon a Prata: Antonio Piccinin, Onofrio Vecchies, Giovanni Boer, Ferruccio Piccinato ed i fratelli Agostino e Giovanni Basso. Assieme avevano iniziato il primo settembre del 1965 a produrre nel garage di proprietà di uno di loro. Pochi giorni dopo, il 6 settembre, ci fu l’alluvione: il garage si riempì con 4 metri di acqua.

Il capannone. «Ci siamo messi subito alla ricerca di un posto nuovo dove poter lavorare – racconta Luigi Basso – Due di noi avevano acquistato mesi prima un terreno in via Manin: decidemmo di costruire lì il nostro primo capannone. I primi 800 metri quadrati furono presto eretti: abbiamo costruito le fondazioni a mano utilizzando badili, con l’impresa abbiamo realizzato il resto. Il giorno di santa Lucia abbiamo inaugurato il primo nucleo della nostra azienda». L’alluvione dell’anno successivo, il 1966, risparmio l’area di via Manin, più alta rispetto alle zone circostanti. «Mancavano 30 centimetri – ricorda Basso – ma l’acqua non entrò». Sei mesi dopo si unì il settimo socio, Angelo Piccinin: proveniva da un’esperienza in Pirelli a Milano.

Il settimo socio. Angelo Piccinin è stato presidente del Santa Lucia sino all’aprile scorso. Volto noto, negli anni ’90 ha guidato l’associazione Life (Liberi imprenditori federalisti europei) in provincia di Pordenone e ha sempre combattuto per ridurre la pressione fiscale che grava sulle aziende. Quattro anni fa nel giardino della sua casa l’imprenditore scoprì dei bossoli già esplosi, collegandolo a un potenziale atto intimidatorio. Nei suoi primi anni di vita il mobilificio ebbe uno sviluppo rapidissimo. Sono anni di lavoro intenso, senza sabati e domeniche, senza orari (di giorno si lavora e la sera dopo cena si caricano i camion) in cui l’azienda cresce velocemente. «Sino al 1972 le cose sono state molto facili – osserva Piccinato – Bastava lavorare e si veniva pagati subito. Ogni anno ampliavamo un po’ il capannone. La crisi è arrivata negli ultimi dieci anni». All’inizio i soci vennero affiancati da sette dipendenti. Negli anni d’oro, a metà anni ’80, il mobilificio raggiunse i 180 dipendenti.

L’internazionalizzazione. Negli anni ’70 e ’80 l’azienda tentò la strada dell’internazionalizzazione con successo nei Paesi Arabi e in Francia, in perdita invece in Russia. All’inizio produceva camerette, oggi tale produzione è completamente abbandonata, sostituita da quella di camere matrimoniali e soggiorni. In cinquant’anni il modo di lavorare è cambiato. «Sino a vent’anni fa la cameretta si produceva a modello, ovvero in serie: i clienti compravano cento camerette uguali alla volta – spiega la presidente Elsa Boer, la quale, assieme al direttore generale Jacopo Galli e al responsabile amministrativo Domenico Basso, forma il cda aziendale – Oggi, invece, si lavora su programmi, ovvero si personalizza tutto. Un tempo si lavorava col magazzino pieno; oggi soltanto il 40 percento della produzione è a magazzino, il restante 60 percento è prodotto su riferimento del cliente, giorno per giorno». Negli anni il lavoro e il mercato sono cambiati molto e l’azienda sta cercando di non perdere il treno dello sviluppo futuro. Dall’altra parte resta la passione e lo spirito familiare verso l’azienda che anche la nuova generazione, con la presidente Elsa Boer, intende mantenere e coltivare.

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