Maseri cittadino onorario di Udine: "Aiuto i giovani e ricordo mio figlio"

UDINE. Il professor Attilio Maseri cittadino onorario di Udine. All’unanimità, il consiglio comunale ha deciso di conferire la cittadinanza onoraria al cardiologo di fama internazionale come segno di riconoscimento per la donazione di palazzo Antonini all’università.
Quello del professore è stato un gesto d’altri tempi che ha portato una ventata di speranza ai giovani e alla città. Un gesto dettato dalle circostanze che hanno privato la famiglia Maseri degli eredi. Il professore, nel 1994, ha perso l’unico figlio, Filippo, in un incidente stradale, e qualche anno dopo pure la moglie Francesca Florio.
Nel ricordo dei suoi cari, il 30 luglio gli sarà conferita la cittadinanza onoraria del capoluogo friulano.
Professore, cosa l’ha spinta a vendere una parte dell’azienda agricola per donare palazzo Antonini all’università?
«Le circostanze. Il pensiero di dire va bene e adesso che mio figlio non c’è più cosa succede? Diciamo che mi è sembrato ragionevole farlo a questo punto della mia vita e della mia storia. Sono stato portato ad andare in questa direzione dagli eventi».
Eventi dolorosi?
«È difficile riuscire a digerirli, ci vuole molto tempo. Alla fine, ragionandoci, trovi le vie d’uscita e le soluzioni che ti aiutano a sopravvivere meglio».
La donazione di palazzo Antonini è una di queste anche perché porta i giovani in primo piano?
«È dai giovani che bisogna aspettarsi forze innovative, qualcosa che sviluppa loro e contemporaneamente il mondo esterno. Sono loro che devono avere lo stimolo e la possibilità di espandersi, di credere e quindi di darsi da fare senza adagiarsi a protestare».
È il messaggio che va letto nel suo gesto?
«Questo gesto dovrebbe contribuire ad aiutare i giovani a credere nelle opportunità che gli vengono offerte. I giovani dovrebbero essere più incoraggiati e stimolati per fargli credere in quello che possono fare.
Vale anche per la città?
«Certo. L’università e l’università del Friuli. Proprio perché è il centro dello sviluppo e dell’impegno dei giovani, deve essere fornita di tutte le armi che la possono aiutare a farlo. Non tutte le città hanno la possibilità di collegare le funzioni accademiche nello stesso luogo come Udine. L’università deve aver più spazio per svilupparsi. In fondo è nata solo 40 anni fa, è giovane».
Si sente parte del gruppo dei benefattori udinesi?
«È una conseguenza, non l’ho fatto per avere un riconoscimento. L’ho fatto perché ci credevo e perché mi sembrava che fosse la cosa più giusta da fare in questo momento storico e con le possibilità che si rendevano disponibili».
Un momento storico in cui non è facile trovare persone disposte a donare palazzi.
«Non è merito mio, ma frutto delle circostanze. Si legano due realtà: non avere alcun erede a cui destinare tutto quello che c’è e trovare una organizzazione a cui portare vantaggio».
È un modo per lasciare un segno nel nome di suo figlio?
«È la continuazione di una parte di quello che forse avrebbe potuto fare lui».
La città risponde conferendole la cittadinanza onoraria e ridenominando il palazzo Antonini–Maseri.
«Bisogna che la città e l’università approfittino di questa donazione per fare cose che tornino utili, che servano e che vadano bene a entrambe».
È il suo auspicio?
«Sì, lo è».
In futuro potrebbe rientrare in campo per l’acquisizione del palazzetto senza il quale l’ateneo non può trasferire gli uffici a palazzo Antonini?
«È possibile, dipenderà da come si evolverà la situazione nel tempo. Le cose vanno fatte con gradualità e a seconda delle possibilità che vengono offerte, dopodiché bisogna avere il coraggio per affrontarle».
Da benefattore ritiene di aver costretto i politici a impegnarsi nei confronti dell’università?
«Non vorrei dire “costringo” i politici perché sarebbe molto difficile e non oso impegnarmi in questa cosa. Ritengo di aver fatto quello che, in questo momento, ero in grado di fare quindi tengo le dita incrociate e spero contribuisca allo sviluppo delle istituzioni universitarie e cittadine».
Anche per evitare la fuga dei cervelli?
«I giovani prima di dire che non ce l’hanno fatta devono provarci. Non bastano i soldi, servono idee e motivazioni. Prima o poi può darsi che si apra qualche rubinetto che prima era chiuso».
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