L'ultimo carrettiere racconta il Tagliamento: «Oggi il fiume mi fa paura»

GEMONA. «Conosco il Tagliamento come le mie tasche, ma ora lo guardo e mi fa paura. Se lo scorso autunno il maltempo colpiva anche il Canal del Ferro e la Valcanale qui finivamo tutti sott’acqua». Mirco Londero, 87 anni, una vita di duro lavoro alle spalle è l’ultimo carrettiere di Gemona. Ha trascorso l’infanzia e la giovinezza a prelevare ghiaia dall’alveo del fiume: con il carro portava fuori il materiale che veniva caricato sui camion. Non ha mai visto il Tagliamento così in secca, lo osserva e si preoccupa.
Il fiume ha segnato la sua esistenza trascorsa a scuola fino alla terza elementare: «Mi serve a casa» disse il padre, pure lui carrettiere, alla maestra senza immaginare che l’assenza di quel diploma avrebbe impedito al figlio di indossare la divisa da corazziere per spedirlo a ingrossare le file dell’Artiglieria alpina. Mirco è un uomo d’altri tempi che vuole trasmettere ai giovani i segreti del fiumi con il quale è cresciuto bevendo la sua acqua. Ci accoglie volentieri nella sua casa costruita anche con i sassi del Tagliamento.
«Sassi – spiega – che non cambiano colore neppure dopo cento anni». Sorseggiando il caffè che la moglie Antonia Stefanutti ci serve, Mirco racconta la sua vita vissuta in simbiosi con il fiume. «Lo scorso autunno andavo a controllare gli argini ogni due ore, ero spaventato perché conosco il pericolo a cui possiamo andare incontro. Se pioveva ancora qualche ora l’acqua avrebbe allagato tutto, compresa questa casa».
Non è la prima volta che Mirco mette in guardia dalle insidie del fiume, lo fa con insistenza pur sapendo di rimanere inascoltato. «Gli argini sono stati costruiti nel Quattrocento, da qui a Godo era tutta pianura. Nei secoli hanno costruito senza tener conto del letto del fiume», ripete indicando le pendenze del terreno e il ponte di Braulins, dove la velocità dell’acqua raggiunge i 50 chilometri orari.
Osserva il fiume e recita l’antico proverbio: «Dopo tanti anni e tanti mesi l’acqua ritorna nei suoi paesi». Recita quei “versi” a ragion veduta perché lui ha visto cambiare la morfologia dell’alveo da quando aveva otto anni.
«Sono nato nel 1932 e negli anni Quaranta ho iniziato a caricare ghiaia e sassi sul carro con le ruote in ferro trainato dai buoi romagnoli». Era un lavoro pesante che richiedeva molta forza: «I cornoi andavano rotti da piccoli», afferma mostrando i polsi con le ossa molto esposte a indicare la fatica a cui venne sottoposto. «Nel 1948 il carro in ferro è stato sostituito da quello in gomma, un’innovazione che ha duplicato la portata del mezzo passata da uno a due metri cubi. A mio nipote racconto sempre che con il carro in gomma, dal 1948 al 1956, ho maneggiato e trasportato 12 mila metri cubi di ghiaia».
Giorno dopo giorno, Mirco ha imparato a sfidare il fiume, a evitarlo e rispettarlo, interpretando ogni suo messaggio. Ed è quell’esperienza che gli fa dire oggi: «Ogni piena è diversa, quando qui la velocità dell’acqua raggiunge i 50 chilometri orari a Latisana arriva a 10. L’ho visto tante volte asciutto, ma mai pericoloso come in questo momento». Sull’argine dove ci siamo spostati, Mirco indica gli isolotti pieni di alberi che si sono formati nel letto del fiume, quel che resta dei tronchi, le radici e le ramaglie trasportate dall’ultima piena.
Il carrettiere, perché anche se da oltre mezzo secolo non fa più questo mestiere la sua anima non è mutata, osserva il fiume e stenta a credere ai suoi occhi: «Se torna la piena del 1966 qui va tutto sott’acqua. Lo scorso autunno – afferma sconsolato – bastavano quattro, cinque ore di pioggia in più e sarebbe successo». Mirco sa quando, in 24 ore, il Tagliamento può passare dallo stato di secca alla piena.
Succede quando più fattori si intrecciano, quando «la perturbazione dal Marocco sale l’Adriatico, entra in Carnia e a nord si scontra con l’aria fredda. In quel momento succede il disastro. Senza questa combinazione può piovere tutto l’anno e non succede nulla. Gli anziani che come me conoscevano questa combinazione non ci sono più, sono rimasto solo e nessuno mi ascolta. Sono sicuro – Mirco batte il pugno sul tavolo –: lo scorso autunno abbiamo rischiato di finire sott’acqua».
Superare l’argine è una sofferenza per Mirco: «Non ho mai visto il Tagliamento in queste condizioni – ripete –, ai miei tempi questo fiume era un gioiello. Il letto si è alzato di almeno tre metri. Negli anni Cinquanta quando uscivo con il carro carico di sabbia avevo paura di fermarmi sulla lunga salita che collegava l’argine al letto. Ora, guardi, è quasi pianeggiante». In questa piana Mirco non ritrova più neppure la sabbia fine. «Dalle montagne l’acqua non porta più materiale bello», ripete imputando queste trasformazioni alle mutazioni naturali e ai cambiamenti climatici.
E poi spiega perché gli inerti del Tagliamento sono migliori di altri. «Perché fanno parte dell’insieme del materiale grasso trasportato dal Tagliamento e di quello magro del Fella, la miscela si forma alla confluenza dei due fiumi a Stazione Carnia. Oltre San Daniele è diverso perché entra il torrente Meduna. La ghiaia del Tagliamento non ha nulla a che vedere con quella estratta nelle cave. È questa la ricchezza che non viene valorizzata». Una ricchezza che Mirco conserva assieme ai segreti del fiume. Vorrebbe continuare a bere la sua acqua – «i vecchi ci avevano insegnato a farlo – racconta – e a recitare “acqua corrente, acqua di Dio posso berla anch’io” – ma oggi il fiume è troppo spesso in secca.
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