Lo psicologo: «Non sono dei mostri, bisogna aiutarli»
PORDENONE. Non sono dei piccoli mostri, il cinismo e l’apparente indifferenza che ostentano i due bulli è solo una maschera. A leggere fra le righe è lo psicologo, mediatore familiare e counselor Roberto Collovati, esperto in materia di bullismo e cyberbullismo, al quale si è affidata la famiglia della dodicenne per l’analisi del caso.
«Questa dimensione di distacco – spiega Collovati – dal principio di realtà, ovvero l’avvenimento in sé e dal principio di solidarietà verso i propri compagni negli accadimenti più tragici è la spia di un meccanismo di difesa molto articolato. Dal punto di vista scientifico, non è affatto corretto vedere in questi ragazzini piccoli mostri. Sono invece lo specchio della fragilità contemporanea dell’adolescenza, che è in una gravissima difficoltà. A partire da un contesto affettivo, in famiglia e a scuola, che non riesce a traghettarli nella sfida dell’adolescenza, oggi molto più dura e complessa di quella di venti o trenta anni fa».
Lo psicologo intravede un’unica strada da percorrere: l’alleanza fra le due agenzie educative – famiglia e scuola – che invece di confrontarsi, sembrano andare ciascuna per proprio conto.
«Noto che famiglia e scuola – constata Collovati – restano due aree a distanza, in competizione fra di loro. La vera svolta, oggi necessaria, è la disponibilità reciproca, che non vedo all’orizzonte. Conosco molte realtà estere dove il bullismo è stato affrontato sì, con un approccio sanzionario, ma non punitivo, bensì socializzante. Sui ragazzi è stata fatta un’operazione di recupero attraverso lavori manuali, condivisioni di esperienze con gli anziani e con adulti in difficoltà».
Che cosa si può fare per recuperare i due ragazzini al centro dell’inchiesta? «La bacchetta magica non esiste e i percorsi improvvisati non servono a nulla – mette subito in chiaro Collovati –. Qui c’è un lavoro lungo da fare, strutturato dall’inizio. Si parte da una posizione di sospetti reciproci, che devono essere abbandonati. Genitori, insegnanti, educatori non devono avere timore di perdere il loro ruolo, ma devono rimettersi attorno a un tavolo ricreando un sistema di alleanze. O coinvolgiamo tutti gli attori dello scenario educativo in progetti, oppure non andremo da nessuna parte».
Lo psicologo precisa che la sua non è una mera ipotesi teorica, ma è avvalorata dalle esperienze fatte sul territorio, in Europa e in Italia. «Non qui – puntualizza Collovati –. Nel nostro territorio, in generale, c’è un approccio manualistico, si fanno gli “eserciziari”. Invece, bisogna aprire e costruire relazioni autentiche. In questa scuola alcune dinamiche dimostrano come le relazioni non funzionassero. Ma si può trasformare il contesto affettivo-relazionale di questo istituto in un’azione propositiva e cambiare rotta».
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