L’infettivologo: «Non si sa perché anche i giovani muoiono di polmonite»

Carlo Tascini, l’infettivologo dell’Azienda sanitaria universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, spiega con la cautela richiesta dalla nuova malattia, perché il coronavirus uccide anche chi anziano non lo è ancora. Solo l’altro giorni, a Polcenigo è deceduto un autotrasportatore di 44 anni

Di Covid-19, la malattia provocata dal virus Sars CoV2, non muoiono solo gli anziani. «In una fascia di persone tra i 50 e i 70 anni, spesso sovrappeso e più frequentemente nei maschi, riscontriamo polmoniti molto gravi. È una situazione ben riconosciuta in letteratura, presente in pazienti senza comorbidità, ovvero senza altre patologie, è un dato assodato, ma perché avvenga non lo sappiamo».

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Carlo Tascini, l’infettivologo dell’Azienda sanitaria universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, spiega con la cautela richiesta dalla nuova malattia, perché il coronavirus uccide anche chi anziano non lo è ancora. Solo l’altro giorni, a Polcenigo è deceduto un autotrasportatore di 44 anni. È uno degli oltre 130 decessi registrati in regione dove i maggiori focolai si sono sviluppati nelle case di riposo triestine, di Mortegliano e di Paluzza. Gli scienziati continuano a studiare la situazione, sono ancora molti gli aspetti poco chiari anche per gli infettivologi. «Non si sa perché, in alcuni casi e nelle fasce d’età che abbiamo detto, si innesca una risposta infiammatoria iperacuta che, alle volte, porta a danno polmonare irreversibile».

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Questo è solo uno dei quesiti a cui gli studiosi dovranno dare un a risposta. In questo momento gli infettivologi, come sottolinea Tascini, hanno l’obbligo di curare i malati, una volta passata la pandemia avranno tutto il tempo di riflettere su tutto.

Al momento non ci sono risposte neppure sul perché alcune persone positive al coronavirus restino asintomatiche e sviluppino gli anticorpi, mentre altre sviluppano difficoltà respiratorie tali da richiedere il ricovero in terapia intensiva. In questi reparti i pazienti possono restare anche più di una decina di giorni: «Sono persone relativamente giovani, il nostro problema è farle sopravvivere finché non finisce l’infezione che dura dai 7 ai 15 giorni, mentre la risposta infiammatoria può proseguire per più di un mese».

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I pazienti, infatti – sono sempre le parole di Tascini – «vengono trattati con farmaci per ridurre l’infiammazione, non con antivirali, sono farmaci che bloccano gli effetti infiammatori che il virus ha innescato». Sono sperimentazioni perché, al momento, non ci sono farmaci specifici contro il coronavirus. Anche su questo fronte, come pure quello del vaccini, gli infettivologi hanno intrapreso una corsa contro il tempo per arrivare, prima possibile, alla sperimentazione di cure specifiche in grado di combattere il SARS CoV2 .

E se da un lato è risaputo che il numero degli infetti è più elevato di quello registrato finora, dall’altro gli scienziati insistono per sottoporre al test sierologico soprattutto i giovani. Su questo fronte, anche nella nostra regione, è partita la corsa alla validazione delle prove per determinare quante e chi sono le persone che hanno sviluppato gli anticorpi e per individuare i portatori sani del virus. I bambini, a esempio, finora sono sfuggiti al conteggio perché anche se vengono contagiati sviluppano l’infezione asintomatica. Ma anche in questi casi l’eccezione non manca.

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L’altro giorno, infatti, un bambino risultato positivo è stato accolto al Burlo Garofolo di Trieste. Ed è proprio il direttore sanitario dell’Ircss materno infantile, Paola Toscani, a confermare che anche i bambini vengono contagiati dal virus, ma non sviluppano sintomatologie gravi. Raramente vengono ricoverati. «È la caratteristica delle malattie virali. Pensiamo alla varicella – riflette il direttore – se presa da bambino è quasi indifferente, da adulti è più grave». Anche il coronavirus si comporta allo stesso modo: «Nel bambino – insiste la dottoressa – sembra essere prevalente con forme lievi o asintomatiche».

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