L’infermiera faceva da “postina” al boss
È in carcere da diversi anni, eppure secondo gli investigatori era sempre Salvatore Zazo, dalla sua cella di Tolmezzo, a gestire i traffici del clan Zazo (dal nome del defunto Michele Zaza o Zazo, per un errore di trascrizione all’anagrafe) che, reinvestendo i proventi di attività criminali, aveva creato un impero del valore complessivo stimato di 400 milioni di euro.
Da Tolmezzo (dove è recluso non in regime di 41 bis, il carcere speciale riservato ai mafiosi) Salvatore Zazo riusciva a comunicare con l’esterno grazie alla complicità di Nadia De Crignis, infermiera carnica di 59 anni, che tra il 2009 e il 2010 avrebbe informato costantemente i parenti sulle condizioni di salute del boss. Non solo. Zazo nel penitenziario aveva a disposizione anche schede telefoniche e cellulari grazie ai quali si confrontava in modo particolare con il figlio Stefano, anche lui arrestato.
Sono ventinove in tutto le persone per le quali il gip di Napoli ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare. Sono contestati a vario titolo i reati di associazione camorristica, truffa ed estorsione.
Nadia De Crignis, che da un paio di anni è andata in pensione e ha lasciato la Carnia per trasferirsi in un altro comune della provincia di Udine, ieri si è vista notificare dagli agenti della Squadra mobile di Udine e del commissariato di Tolmezzo l’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari: è accusata di aver favorito le comunicazioni di Salvatore Zazo in cambio di una serie di pagamenti da poche migliaia di euro ciascuno, secondo gli investigatori quasi una sorta di “stipendio aggiuntivo” che le donna avrebbe incassato prima di andare in quiescenza.
Secondo le indagini, l’organizzazione criminale avrebbe realizzato in varie regioni d’Italia una fitta rete d’investimenti delle risorse finanziarie prodotte dalla gestione delle proprie attività illecite, quali il traffico di stupefacenti e la capillare sottoposizione ad estorsione di commercianti de imprenditori operanti nel quartiere napoletano di Fuorigrotta. Con i proventi delle attività criminose il clan Zazo avrebbe quindi acquistato importanti immobili a Roma, Gorizia, Genova e Caserta; impiantato e sorretto numerose società operanti nei settori immobiliare, edilizio, alberghiero, della ristorazione, del commercio di autovetture, della gestione patrimoniale e finanziaria, del gioco e delle scommesse. Tali “asset”, per un valore complessivo stimato di circa 400 milioni, sono stati sottoposti a sequestro. Tra i beni sequestrati dalla Dia (la Direzione investigativa antimafia) ci sono anche 18 cavalli da corsa tra i quali figurano alcuni discendenti del notissimo purosangue “Varenne” e uno yacht di 23 metri ormeggiato a Porto Santo Stefano.
Le misure di custodia cautelare, delle quali 21 in carcere e 8 ai domiciliari, sono state eseguite dal personale del Centro operativo della Direzione investigativa antimafia (Dia) di Roma e della Squadra mobile della Questura della Capitale in esecuzione di un’ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Napoli. Nell’indagine sono coinvolti anche un funzionario dell’agenzia delle entrate e un commercialista, che svolgevano un ruolo attivo nell’organizzazione grazie alla complicità un traffico illecito di autovetture dalla Germania.
Tra i beni sequestrati ci sono anche 4 alberghi di lusso e un locale notturno a Roma, oltre al villaggio turistico sulla collina di Cogoleto, denominato Villa Beuca, con oltre venti ville a ridosso della costa ligure.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto