L'industria a Gorizia, fine di un'epoca

«Gorizia rischia la deindustrializzazione», hanno ripetuto a turno nei giorni caldi della vertenza Siap i rappresentanti delle istituzioni. In realtà, il capoluogo isontino pare aver già abdicato alla sua vocazione industriale, sacrificata sull’altare della crisi.
Una crisi che, almeno per quanto riguarda il Goriziano, è particolarmente ramificata: da un lato, innegabile, la sfavorevole congiuntura economica globale, che ha comportato una contrazione dei consumi e inevitabili ripercussioni nell’accesso al credito; dall’altro - ma è un discorso che vale soprattutto per il commercio - le mutate condizioni geopolitiche, che hanno avvicinato la Slovenia (a livello istituzionale, sociale e culturale) e allontanato le imprese.
Soltanto negli ultimi sei mesi, il bollettino della crisi ha annoverato sulle proprie pagine i casi della Texgiulia, della Ite, oggi della Siap. Con centinaia di lavoratori coinvolti e pesanti ricadute anche sull’economia del territorio.
L’industria dolciaria
Gorizia era la città in cui si producevano caramelle e spiriti. Il regime di zona franca, mandato definitivamente in soffitta nel 2007, non strizzava l’occhio soltanto a tabaccai e benzinai: c’erano le fabbriche di dolciumi, così come le distillerie. Che oggi resistono soltanto in pochissimi casi.
La zona industriale di Sant’Andrea ha perso negli ultimi dieci anni un numero impressionante di imprese del settore. Se La Giulia resiste - e, anzi, investe in macchinari e forza lavoro - c’è chi è stato costretto ad alzare bandiera bianca: è il caso della Sweet, che ha chiuso i battenti due anni fa, lasciando a casa un’ottantina di dipendenti. Sulla vicenda è calato il silenzio più totale: il commissario liquidatore, Giuliano Bianco, ha più volte rifiutato di confrontarsi con le parti sindacali e dribbla da mesi anche la stampa.
Lo scorso autunno c’era stato un abboccamento con un’azienda italiana interessata a riattivare lo stabilimento di via Gregorcic, ma non se n’è più fatto nulla. Inghiottita da un’esposizione debitoria incolmabile, la Sweet ha concluso così la propria epopea, dopo aver dominato il mercato di riferimento (quello degli ovetti di cioccolato) per quasi un decennio.
Il tessile
Sebbene le origini degli insediamenti industriali risalgano ancora alla prima metà del Settecento, è alla fine del secolo successivo che a Gorizia nasce un vero e proprio polo industriale tessile. La zona di Piedimonte, con il suo Cotonificio, è l’epicentro: la vocazione per la lavorazione dei tessuti viene però progressivamente meno dopo gli anni del boom economico, fino a spegnersi quasi definitivamente all’alba del Duemila.
A Straccis, la Vouk alza bandiera bianca nel 2009, chiudendo uno stabilimento sul quale ancora oggi si discute per via di una variante urbanistica che avrebbe dovuto creare un’area residenziale sulle ceneri della fabbrica tessile.
L’ultimo baluardo è così la Texgiulia, che ciclicamente mostra i propri acciacchi: lo scorso autunno i 24 lavoratori superstiti dello stabilimento di Piedimonte hanno firmato il contratto di solidarietà, dopo che nell’arco di tre anni la forza lavoro impiegata all’interno della fabbrica del gruppo Gabel è diminuita di due terzi.
Il metalmeccanico
Infine, la crisi della Siap. Già nel 2009 la Carraro paventò la chiusura dell’industria di Straccis, storico insediamento produttivo simbolo dell’industria pesante goriziana. Ora, l’ennesimo tentativo di salvare l’azienda, con il gruppo veneto che pare irremovibile nella sua decisione di chiudere i battenti. Si sono mossi i sindacati, il Comune, la Provincia, la Regione ha assicurato il proprio impegno e la questione è approdata pure sul tavolo dei ministri Poletti e Guidi. Basterà?
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