Lignano, si presero gli accessi al mare: ora i privati la spuntano sul Comune

La Cassazione ha stabilito che i terreni tolti vent’anni fa all’amministrazione hanno cambiato proprietà. L’avvocato Sinacori: «Per impedire l’usucapione non basta progettare percorsi, bisogna anche realizzarli»

LIGNANO SABBIADORO. C’era la villetta, singola o bifamiliare, e c’era anche il pezzetto di terreno che, allungandosi verso la strada, accorciava le distanze al mare. Per anni, a Lignano ha funzionato così.

Estesi arbitrariamente i confini catastali dei rispettivi lotti, i costruttori li cedevano poi ai privati, in frazioni che variavano a seconda delle dimensioni e della posizione dell’immobile acquistato.

Una consuetudine ampiamente diffusa, ma anche non meno tollerata, se è vero che, per un periodo quantomeno ventennale, il Comune non ha mai mosso un dito per riprendersi ciò che gli era stato tolto. Ci ha provato di recente, ma il tempo a sua disposizione era ormai scaduto.

E a mettere la parola fine alla querelle, con un primo pacchetto di sentenze pressocché uguali, è stata la Corte di Cassazione.

I recinti e le siepi a suo tempo alzati, insomma, resteranno dove sono. E cioè su quello che un tempo era stato un terreno comunale e che, decorso il termine ventennale per l’usucapione, è passato di diritto ai privati.

Segnalata anche dallo Studio Cataldi, voce tra le più autorevoli del web in materia di notizie giuridiche, la vittoria della decina di famiglie che, all’epoca, comprarono casa tra Riviera e Pineta e che, alle recenti pretese di restituzione dei terreni intimate dal Comune, hanno risposto con altrettante cause civili, porta la firma dell’avvocato Massimiliano Sinacori.

Analogo responso era arrivato già dal tribunale di Udine e poi anche dalla Corte d’appello: le aree inglobate nelle proprietà individuali - superfici variabili tra i 100 e i 300 metri quadrati - erano diventate di proprietà dei privati per usucapione.

L’amministrazione comunale, però, non si era arresa e aveva proposto ricorso in Cassazione. I terreni – aveva sostenuto l’ente – dovevano ritenersi «demaniali», costituendo aree pertinenziali a strade di accesso al mare, o facenti parte del «patrimonio indisponibile», in quanto destinate a verde pubblico, con percorsi, panchine, illuminazione e altri arredi, come da previsioni di piano regolarmente approvati.

Entrambe condizioni di per sè sufficienti, appunto, a escludere gli effetti dell’usucapione. La tesi, tuttavia, non ha retto nemmeno in terzo grado di giudizio.

«La previsione di piano che non sia concretamente attuata – ha sostenuto l’avvocato Sinacori – non è sufficiente. I terreni del Comune, in sostanza, devono ritenersi patrimonio disponibile dello stesso, quindi usucapibili, fino a quando le previsioni non vengano concretamente attuate, con la creazione di percorsi, panchine, illuminazione e quant’altro indicato nel piano». A fare la differenza, quindi, non è il progetto, ma la sua realizzazione pratica.

Nel respingere i motivi del Comune, i giudici di legittimità hanno voluto evidenziarne anche l’«ultraventennale inerzia, nonostante l’esistenza dei mezzi predisposti dall’ordinamento per rientrare nel legittimo possesso dei beni in presenza di atti di occupazione».

Un rilievo tutt’altro che irrilevante, visto che la sentenza spiana la strada alla miriade di altri privati che, in possesso degli stessi requisiti, potranno ora fare valere a propria volta l’usucapione. Il consiglio? Promuovere azioni mirate all’accertamento della decorrenza dei termini.

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