Quando gli inglesi arrivarono in città: ottant’anni fa la Liberazione a Pordenone
I ricordi vividi nelle cronache di Gaspardo e Degan. Campane a festa, il ritorno del pane, ma anche la violenza

Sul far della sera un convoglio militare entrò in piazza XX Settembre. Si fece largo tra la folla che finalmente poteva godersi il lieto evento. Dall’autoblindo scesero due giovani soldati. Fin dalle prime parole, la gente capì subito che erano inglesi. La data storica della liberazione di Pordenone dai nazifascisti è il 30 aprile 1945, giusto ottant’anni fa. Ci furono però alcuni colpi di scena, che le preziose testimonianze tramandate negli anni, riportano alla luce.
Le cronache di Gaspardo
L’ingresso in città del reparto dell’Ottava armata britannica fu reso possibile a conclusione di estenuanti trattative per la ritirata dei tedeschi ancora asserragliati nei vari presidi: casa Gil e Casermette, in via Molinari; fabbrica Concimi a Vallenoncello; villa Torossi a Villanova.
I comandi, ormai allo sbando, furono costretti a trovare delle vie di fuga per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Nelle aree periferiche si sparava ancora. Tra la notte del 28 e quella del 29 aprile 1945 i nazisti abbandonarono precipitosamente Pordenone. Molte informazioni si trovano negli appunti del giornalista Paolo Gaspardo, attento cronista sempre sul pezzo. La figlia Maria Luisa è riuscita a conservare gli scritti del padre e a pubblicarli sotto il titolo “Vita in città”, un’opera importante sugli accadimenti vissuti in prima persona.Gaspardo lascia trasparire dal suo diario di guerra la soddisfazione per la svolta storica finalmente concreta: «Dopo una nottata agitata, verso le sette sono uscito in cortile e ho udito il suono festoso delle campane. Durante un giro in bicicletta ho potuto constatare che i tedeschi se n’erano andati. In centro si stavano imbandierando le case e il tricolore era issato sui campanili di San Marco e di San Giorgio. Continuavo a chiedermi con trepidazione se fossero già arrivati gli anglo-americani». Pordenone si preparava a celebrare la fine della guerra.
Il Nabucco
Nel pomeriggio furono installati gli altoparlanti in piazza e il grammofono suonava con insistenza. «Il Nabucco – annota – veniva ripetuto fino all’esasperazione, perché era difficile rintracciare dischi patriottici». La folla, liberatasi dalle ultime apprensioni, si era fatta via via più fitta lungo le strade. Per l’occasione furono cancellate in centro città tutte le scritte che inneggiavano al regime. Fu rimosso anche il vistoso cippo dedicato ai caduti fascisti, collocato in piazza XX Settembre. Ecco il colpo di scena sintetizzato da un’altra testimone di quel tempo, la professoressa Teresina Degan, donna coraggiosa molto attiva nelle staffette partigiane.
Le memorie di Degan
Lasciò i suoi scritti: è lei a raccontare dell’arrivo del primo autoblindo, tra applausi ed eccitazione. Il fatto di cronaca fu annotato con stringatezza. Chi erano i due militari inglesi che per primi misero gli stivali sul suolo pordenonese? «Uno era di Liverpool (classe 1924) e l’altro di Leicester (classe 1922). Ma la loro fu una presenza fulminea, interrotta dal gracchiare di una ricetrasmittente». Con ogni probabilità, dopo aver ricevuto alcuni ordini secchi, la pattuglia abbandonò frettolosamente la piazza, si dice per far rientro al quartier generale di Sacile per motivi di sicurezza. Nella pedemontana si combatteva ancora. Ma il 30 aprile 1945 fu comunque posto il sigillo sulla liberazione di Pordenone. Poi il Primo maggio passarono numerosi convogli delle Forze alleate verso Udine. La data storica è ricordata nell’intitolazione di via XXX Aprile, precisamente il breve tratto di strada davanti a villa Ottoboni.
Il ritorno del pane
Nel diario di quel giorno, Paolo Gaspardo segna un ulteriore tentativo di avvicinamento alla normalità: «È stata ripresa la panificazione per garantire la vecchia razione quotidiana di 150 grammi. E in serata è ricomparsa la carne con la distribuzione straordinaria di fettine, perché sono state trovate buone scorte nelle sedi tedesche».
Le rappresaglie
Un altro fatto di cronaca registra invece l’odio intenso che ogni conflitto inevitabilmente accumula in abbondanza, perché ogni guerra ingrossa grumi di rancore. Succede anche oggi. Gaspardo riporta una tragica vicenda di sangue, dovuta all’azione di un gruppetto di partigiani che trovò il modo di sganciarsi dalla festa di piazza. «I garibaldini recatasi alle carceri del Castello – scrive – prelevarono undici fascisti. Dopo averli malmenati, li uccisero nel fossato esterno, senza alcun processo”. I registri parrocchiali del duomo di San Marco riportano la morte di quelle persone per fucilazione. Si seppe che erano responsabili di rastrellamenti e crudeli sevizie. Alcuni anche autori di omicidi. La violenza richiama altra violenza.
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