Le slot machine sono diventate il gioco più pericoloso

Il 26% di chi chiede aiuto per uscire dalla dipendenza dal gioco utilizza gli ex videopoker

Il retaggio culturale del giocatore che si rovina giocando alla roulette o al black jack nei casinò o che, come nella famosa “Mandrakata” di Gigi Proietti punta tutto sulle corse dei cavalli fa parte del passato. Negli ultimi vent’anni, stando ai dati di coloro che si rivolgono al “Centro di Terapia” di Campoformido, il gioco d’azzardo che comporta i danni maggior è quello delle “nuove” scommesse: dalle slot machine, al gratta e vinci passando per lotto e superenalotto.

I numeri in possesso del dottor Rolando De Luca, infatti, dicono che la fetta più grande – il 26% - di coloro che cercano un aiuto per uscire dalla dipendenza sono giocatori assidui delle cosiddette “new slot”, cioè gli ex videopoker, mentre il 14% compra assiduamente gratta e vinci, il 13% dilapida il proprio patrimonio al lotto e il 12% al supernalotto, mentre soltanto il 22% è un frequentatore dei casinò. Per quanto riguarda le fasce d’età, invece, sul totale di coloro che si sono rivolti, o continuano a rivolgersi, al centro di Campoformido, la maggioranza spetta al “range” compreso tra quaranta e cinquant’anni che rappresenta il 33%, contro il 22% del decennio tra i cinquant’anni e i settanta, il 17% degli “over 70”, e il 18% delle persone tra trenta e quarant’anni con il restante 9% formato da “under 30”. La stragrande maggioranza dei giocatori in terapia – l’86% - è costituito da maschi, ma anche la percentuale friulana di donne, il 14%, è in aumento rispetto al passato e la possibilità che in futuro ci si possa avvicinare ai dati su scala nazionale che parlano di un 25% di giocatrici in cura è tutt’altro che remota. Dando un’occhiata, quindi, alla professione dei dipendenti da gioco d’azzardo si nota che ben il 56% è costituito da lavoratori dipendenti, cioè da coloro che hanno uno stipendio mensile fisso, e il 21% di pensionati, mentre i lavoratori autonomi costituiscono il 19% del totale. Di questi, inoltre, il 92% come titolo di studio si è fermato o alla licenza media o al diploma, con il restante 8% che si divide equamente tra coloro che hanno terminato soltanto le elementari e coloro che, invece, sono arrivati sino alla laurea. E se il 71% delle persone sono sposate o convivono, la quasi totalità – il 97% - partecipa assieme a uno o più familiari alle sedute del “Centro di Terapia” di Campoformido che non soltanto sta diventano famoso anche all’infuori dei confini regionali – con l’11% dei pazienti che proviene dal Veneto -, ma che, stando sempre ai numeri forniti dal dottor De Luca, nel 90% dei casi ha portato, al termine del ciclo terapeutico, all’abbandono della dipendenza. (m.p.)

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