«L’assassino poteva uccidere ancora»

Lo scrive il Gip Lauteri nell’ordinanza che ha disposto la custodia cautelare in carcere per Nicola Garbino
Di Cristian Rigo

Nicola Garbino poteva uccidere ancora. Anche per questo motivo il Gip Paolo Lauteri ha, com’era ovvio, convalidato l’arresto e disposto la custodia cautelare in carcere dell’uomo che ha confessato di aver assassinato Silvia Gobbato. Garbino, assistito dall’avvocato Manlio Bianchini, ha confermato davanti al Gip e al pm Marco Panzeri quanto già riferito in precedenza agli inquirenti. Voleva rapire Silvia minacciandola con un coltello e chiedere poi un riscatto, ma la reazione e il tentativo di resistenza della donna gli hanno fatto perdere la testa. Così sono partite le coltellate, più di dodici. Questo è l’unico momento di quel pomeriggio che Garbino non ricorda con precisione, «quasi a voler eliminare la fase cruciale dell’azione», scrive Lauteri nella sua ordinanza. Nel tentativo di zittire Silvia le ha messo una mano sulla bocca, ma inutilmente perché lei ha gridato. «Ho pensato che con tutto quel rumore potesse sopraggiungere qualcuno, ho pensato di scappare - ha spiegato durante l’interrogatorio - ma all’improvviso l’ho colpita con una coltellata, credo alla pancia. L’ho quindi colpita con altre coltellate, non ricordo né il numero delle coltellate inferte, penso comunque una decina, né l’esatta ubicazione dei colpi».

Il resto del racconto invece è lucido, preciso. Garbino ha parlato con una voce flebile, ma la sua versione dei fatti ha trovato riscontro nelle verifiche dei carabinieri. L’appostamento, la fuga, le ore passate nascosto nei pressi di un capannone e l’incontro con un vigile urbano poco dopo l’omicidio. «Dopo averla colpita sono rimasto a terra per qualche secondo, stremato dalla fatica per poi rialzarmi e tentare di prendere il telefono della ragazza che era caduto a terra». Quando, però, l’uomo ha sentito avvicinarsi qualcuno è fuggito. «Ero convinto, però, che sarei stato preso dai carabinieri. Per tornare verso la macchina mi sono diretto di nuovo verso il luogo del delitto, ma a un certo punto venni bloccato da un agente della municipale di Tavagnacco». Questi lo ha invitato a tornare indietro poiché la zona era presidiata dalle forze dell’ordine. A quel punto Garbino ha chiesto al vigile un passaggio in auto «per tornare verso il parco del Cormor», in direzione del cimitero, «dove avevo lasciato la macchina». Visto il rifiuto del vigile Garbino ha percorso a piedi un tratto della tangenziale. «Sono passato anche davanti a un distributore di benzina, pensavo di essere stato ripreso dalle telecamere».

Tutto torna. Anche il fatto che Garbino cercasse un modo per fare soldi. Disoccupato, ha ammesso di non aver mai lavorato e questo - sottolinea il giudice - «può aver stimolato il desiderio di architettare un piano per racimolare dei soldi». Soldi facili, veloci, i suoi primi “guadagni” per rendersi finalmente indipendente dalla famiglia con la quale conviveva ancora nonostante avesse 36 anni. L’obiettivo principale di Garbino quindi potrebbe essere proprio il rapimento e il riscatto, «la determinazione omicida è intervenuta in un secondo momento». Ma una volta commesso un crimine così efferato, secondo il giudice Lauteri il rischio di una reiterazione è concreto. «L’omicida - si legge nel dispositivo - agisce andando al di là di quelle che cono le inibizioni tipiche del vivere civile e una volta infranta, questa barriera rischia di non costituire più quell’ostacolo che poteva rappresentare prima. In termini tecnico-giuridici è chiara la configurazione di un pericolo di ricaduta».

Se Garbino non fosse tornato sul luogo del delitto e se quell’appuntato dei carabinieri non avesse seguito il suo istinto decidendo di seguirlo, probabilmente avrebbe deciso di colpire di nuovo. Ai genitori aveva detto di voler chiudere con l’università (aveva sostenuto pochi esami mentre ai familiari raccontava che mancava poco alla laurea) e per questo martedì si era inventato l’ennesima bugia: un colloquio di lavoro a Padova. Invece è andato ad appostarsi al parco del Cormôr. Voleva rapire una donna, una qualsiasi, la prima che corresse da sola abbastanza piano e avesse con sè un cellulare. Ha trovato Silvia e l’ha uccisa.

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