L'architetto su piazza San Giacomo: "Il Piano di Confcommercio è sbagliato"

UDINE. La possibilità di utilizzare parte del plateatico del Mercato Nuovo (detto poi piazza San Giacomo, infine, piazza Matteotti) a prolungamento delle superfici di pertinenza dei locali pubblici attestati sulla piazza non sembra un’idea peregrina, anche considerando la destinazione originaria, prettamente commerciale, del luogo. Temporanea o meno che sia, la sistemazione in questione dovrebbe però possedere la qualità di non turbare il delicato equilibrio architettonico che fa della piazza un luogo tra i più belli e quindi attrattivi della città.
A chi voglia riflettere su cosa sia più opportuno fare viene prontamente in soccorso il progetto proposto alla città da Confcommercio e visto sulle pagine di questo giornale: un compendio perfetto di tutto quello che si dovrebbe non fare in questa piazza, e, aggiungo, in tutto il centro cittadino, per non dire ovunque. Ma al di là della fin troppo facile critica di un modo di pensare l’“arredo urbano” a mio avviso insensato, provo ad avanzare alcune considerazioni basate su un comune senso della misura.
La pavimentazione così com’è del plateatico non deve essere occultata né da tappeti erbosi, né da tappeti rossi né da tappeti persiani: il “pavimento” giusto è quello in pietra che c’è, pena la perdita dell’unitarietà formale e cromatica del piano della piazza. Sedie e tavolini (e se necessario ombrelloni) dovranno avere piedi e basi rivestiti in feltro o in gomma o in altro materiale idoneo a non danneggiare le lastre di pietra.
Per distinguere le aree di pertinenza dei diversi locali è sufficiente lasciare tra “settori” contigui delle fasce continue libere di sufficiente larghezza. Del tutto inutile ricorrere a fioriere, divisori in vetro e cespugli e alberelli in vaso, inadatti all’architettura della piazza, troppo geometrica e regolare per ammettere divagazioni botaniche (se non ugualmente “perentorie”: come, parecchi capodanni fa, le betulle in vaso allineate in file regolari, deliberatamente temporanee; ma quella era un’installazione, diciamo l’eccezione che conferma la regola).
L’occupazione del plateatico deve avere precisi limiti: tutta la fascia centrale, dove i protagonisti sono la fontana del ‘500 e la colonna della Vergine, dell’ultimo ‘400, deve rimanere largamente libera da qualsivoglia ingombro, anche per non disturbare la visibilità frontale della facciata della chiesa. Rimangono quindi a disposizione le due fasce laterali prossime ai portici e la parte centrale del lato est.
La pavimentazione in pietra a lastre quadrate, orientata tutta in senso diagonale, cioè a 45° rispetto al quadrilatero del plateatico, può suggerire un principio d’ordine per la disposizione di tavolini sedie e ombrelloni: può vedersi infatti come un reticolo regolare che ha nella singola lastra quadrata il suo modulo. La collocazione di tutti gli arredi, anziché configurare gruppi più o meno irregolari, o disposizioni parallele o perpendicolari ai lati della piazza, potrebbe seguire il suggerimento e la traccia costituita dal reticolo diagonale esistente, dato dalla maglia modulare delle lastre quadrate di pietra.
Le distanze tra i tavoli e la larghezza delle “corsie” tra i tavoli e tra diversi settori non sarebbero altro che multipli del lato della singola lastra, e la disposizione dei tavoli in serie parallele orientate a 45°, più o meno avanzate verso la fascia centrale libera, sarebbe facilissima da attuare (senza bisogno di usare nemmeno la cordella metrica!) e in sintonia con il disegno antico del nobile “pavimento”.
*architetto
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto