La tragedia di Gonars, «La mia vita è distrutta, ma non lo odio»

Tutto il Friuli nel dolore per la la madre e i due bambini morti nel rogo sulla Napoleonica. La Polstrada: velocità eccessiva. Linea dura del procuratore. Roberto Candotto pronto ad abbracciare l’investitore: ho perso la famiglia, ma anche quel ragazzo è disperato. Il Comune vuole intitolare a Chiara e Federico la nuova scuola dell’infanzia
La prima volta che lo ha incontrato ancora non sapeva che l’auto che stava bruciando era quella di sua moglie e che quello che aveva di fronte era il ragazzo alla guida del pick-up che aveva provocato l’incidente. Lo ha visto piangere, disperato, lo ha stretto attorno alle spalle e ha cercato di fargli coraggio. Poi ha capito che quella che andava in fumo era la sua famiglia, la sua vita.


Eppure, anche ieri, schiacciato dal dolore, Roberto Candotto sarebbe stato pronto ad abbracciare nuovamente Massimo Battello, il 19enne di Talmassons che non ha visto in tempo la C3 ferma al centro della strada. «Non me la sento di odiarlo – dice –, so che anche lui, se potesse tornare indietro, più di ogni altra cosa al mondo, cancellerebbe quel minuto. Quel maledetto minuto che non dimenticheremo mai».


Ricordare quei momenti è difficile, ma il racconto di Roberto, operaio 50enne della Calcestruzzi Zillo, inizia proprio dall’incontro con quel giovane. «Era fermo, appoggiato su una colonna, sconvolto, continuava a chiedere se c’era qualcuno dentro quel rogo così ho provato a calmarlo, gli ho detto di mettersi l’animo in pace che se c’era qualcuno non c’era più niente da fare. Nel momento dello scontro stavo lavorando, l’azienda dove lavoro è a pochi passi da quell’incrocio, abbiamo sentito un botto fortissimo e poi un sibilo, in un attimo le fiamme erano altissime. Abbiamo provato a spegnerle con una betoniera carica d’acqua, ma era impossibile, il fuoco ha divorato tutto».


Solo in un secondo momento Roberto ha capito che in quella palla di fuoco c’era tutta la sua famiglia. «Quando consolavo quel ragazzo sentivo come un presentimento, poi ho visto che l’auto era rossa, sembrava una C3 come la mia e come quella di mia moglie. Non ci volevo nemmeno pensare, ma poi ho notato anche la retina, quella che si usa per trasportare i cani, sono corso a casa come un pazzo, ho provato a chiamare. Mezz’ora dopo sono tornato sul luogo dell’incidente e un poliziotto mi ha confermato che ad andare in fumo era stata la mia vita, stava tutto su quella macchina». Insieme alla moglie Sonia Candotto di 42 anni, Roberto ha perso anche i suoi due figli, Chiara di 14 anni e il piccolo Federico di soli 5 anni. «Dove trovo la forza per andare avanti? Mi aggrappo all’aldilà, penso che da lassù la mia famiglia continui a guardarmi. E voglio che vedano un padre ligio, come sempre. Avevamo tanti sogni e progetti nel cassetto che resteranno chiusi lì dentro perché adesso sono rimasto solo. Mi resta solo una casa vuota, con tanti ricordi e fotografie, ma senza la voce dei miei figli». Ieri Roberto ha voluto restare lì a dormire, nella villetta di via Paradiso che si era costruito a Gonars con anni di sacrifici insieme alla sua Sonia. «È stata una bella storia la nostra – continua –, più di vent’anni insieme e mai un tradimento. L’ho conosciuta in discoteca, al Planetarium di Pordenone, ricordo ancora le note del nostro primo lento, ci siamo fidanzati che lei aveva 18 anni appena e io 26». Da Portogruaro Sonia ha quindi deciso di trasferirsi a Gonars per vivere con Roberto.


«Come in una favola, era la nostra favola». Una favola che si è interrotta bruscamente giovedì, poco dopo le 18, sulla strada Napoleonica. «È un incrocio terribile – sottolinea Candotto –, anche il cognato di un mio collega è morto nello stesso punto andando in moto». Nei pensieri di Roberto però ieri non c’era spazio per la rabbia, ma solo tanto dolore: «Purtroppo in quella strada si corre, bisognerebbe rispettare i limiti, ma pochi lo fanno. Sicuramente anche quel giovane correva troppo, ma l’ho fatto anch’io con l’esuberanza dei vent’anni. E quindi sarebbe potuto capitare anche a me».


Per questo motivo Roberto ha deciso di perdonarlo. Attorno a lui, ieri si è stretta tutta la sua famiglia, riunita in via Monte Grappa nella casa dove vivono ancora la madre e il fratello. Ed è stato proprio il fratello ad accompagnarlo a Palmanova per il triste rito del riconoscimento delle salme. «L’unica cosa che è rimasta della mia famiglia – ci ha confidato sfilandosi dall’interno del giacchino una busta – è questo anello, è annerito, ma è l’unica cosa che si è salvata dalla fiamme. L’ho regalato a Sonia quando ha compiuto 40 anni, non se lo toglieva mai».

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