La tesi di Bruzzone: «Ha detto tante bugie Nasconde qualcosa»

Per la criminologa italiana ci sono pesanti indizi di colpevolezza E sul movente: i delitti più efferati nascono da futili motivi
Di Mattia Pertoldi

PORDENONE. Nessuna sorpresa, o fulmine a ciel sereno. No, Roberta Bruzzone si attendeva l’arresto di Giosuè Ruotolo anche prima, non soltanto lunedì come deciso dal gip Alberto Rossi. La consulente di parte della famiglia Ragone, ma soprattutto una delle più famose, ed esperte, criminologhe d’Italia diventata nota alle cronache per il suo coinvolgimento nel delitto di Avetrana – come consulente della difesa di Michele Misseri – e nella strage di Erba culminata con la condanna di Olindo Romano e Rosa Bazzi ha una sua idea precisa sul duplice omicidio di via Interna: l’impianto accusatorio della Procura, per tempi e modi, è destinato a reggere.

Dottoressa Bruzzone, l’ha stupita l’ordine di custodia cautelare in carcere per Giosuè Ruotolo e di arresti domiciliari per la fidanzata Maria Rosaria Patrone?

«Per nulla. A essere onesti mi sarei aspettata questa decisione anche con maggiore anticipo, già prima di Natale. Ma se la scelta è stata presa soltanto adesso ritengo che la Procura abbia voluto ricostruire in ogni dettaglio la vita di Trifone e Teresa e i rapporti con Giosuè e Rosaria. Tanto che il quadro, adesso, mi pare ben delineato».

Ce lo descrive?

«Prima di tutto bisogna sottolineare come non sia certamente un caso il coinvolgimento della fidanzata di Giosuè a cui la Procura non contesta la partecipazione agli omicidi, visto che quel giorno non si trovava a Somma vesuviana ma a Pordenone, e nemmeno più l’istigazione al delitto, ma è stata comunque accusata di favoreggiamento perché gli inquirenti ritengono che abbia aiutato il fidanzato nel tentativo di eludere le investigazioni. Da quello che so, inoltre, la situazione è stata ricostruita con efficacia sia grazie al lavoro sul campo che ai tanti testimoni ascoltati in questi mesi».

Molti indizi, dunque, che riguardano anche i rapporti tra i due ex inquilini...

«Esatto. Nel quadro complessivamente chiaro disegnato dagli inquirenti pare evidente, ormai, come un’area sicuramente critica della vita di Trifone coinvolgesse Giosuè in un rapporto molto più stretto e pesante, specialmente nell’ultimo mese e mezzo prima della morte, rispetto alla situazione che era apparsa inizialmente. Mi riferisco, in particolare, a quella serie di messaggi alludenti a presunte scappatelle di Trifone che continuavano ad arrivare a Teresa da un profilo Facebook anonimo che, però, non sembra essere più tanto tale visto che pare assodato come alla fine la coppia avesse riconosciuto in Giosuè il segnalatore nascosto. Ribadisco il concetto, poi, che se la decisione della custodia cautelare in carcere è arrivata a distanza di ben sei mesi dall’iscrizione nel registro degli indagati, peraltro avallata da un gip, è evidente come la Procura sia convinta di avere in mano pesanti indizi di colpevolezza. Il legale di Giosuè ha già annunciato l’intenzione di presentare ricorso al Tribunale del riesame, ma io sono convinta che il quadro ricostruito dagli inquirenti reggerà fino alla fine».

Gli indizi sono davvero così pesanti?

«Sì, molto. L’Audi di Giosuè è stata immortalata due volte dalle telecamere installate in via Interna, all’ora del duplice omicidio, a distanza di sette minuti nonostante il tratto percorso dalla vettura sia di poche centinaia di metri. Ci sono anche le testimonianze incrociate dei frequentatori della palestra che lo posizionano sulla scena del crimine poco prima delle 20, senza dimenticare il fatto che sia passato pure per il parco di San Valentino, guardacaso lo stesso luogo dove è stata ritrovata la pistola considerata come l’arma del delitto».

Poi ci sono le bugie...

«Precisamente. Giosuè all’inizio delle indagini ha mentito dicendo di essere sempre rimasto a casa e, quando è stato scoperto, ha spiegato di averlo fatto per non mettere a rischio il concorso alla guardia di finanza. E se è vero che è quasi impossibile impedire a un indagato di mentire è altrettanto vero che fa crescere i sospetti, soprattutto se consideriamo come quando lo ha fatto non fosse iscritto nel registro degli indagati, ma soltanto ascoltato come persona informata sui fatti. Oltre a ciò, infine, non ha raccontato la verità sui suoi rapporti con Trifone. Tutte circostanze, queste, che ci fanno capire come quello che emerge ai danni di Giosuè non sia affatto qualcosa di leggero».

Dottoressa, ma può bastare un movente di questo tipo, cioè che Trifone avesse intuito l’identità dei messaggi su Facebook e forse lo volesse denunciare, per giustificare un duplice delitto?

«Sfatiamo il campo da un mito romanzesco: i grandi moventi del passato, ormai, appartengono alla letteratura, non alla realtà. Faccio questo mestiere da più di vent’anni, ho visto di tutto e, soprattutto, gli omicidi più efferati commessi per il più futile dei motivi. Non c’è uno schema predefinito, ma molto dipende dal carattere degli individui. Ci sono persone a cui basta una risposta sbagliata, o un’umiliazione pubblica, per scatenare ritorsioni violente e incontrollate che arrivano sino all’omicidio».

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