La storia della contesa centenaria per l’antico arazzo

CIVIDALE. Questa è la storia di un arazzo e di una contesa secolare. La conoscono in pochissimi, a Cividale: solo gli addetti ai lavori, chiamiamoli così, vale a dire chi – in ambito ecclesiastico – ha seguito la tormentata vicenda che si aprì nel lontano 1917 e che ha per protagonisti, o meglio per antagonisti, la parrocchia della città ducale e la Soprintendenza di Venezia.
Oggetto della diatriba è un prezioso arazzo, appunto, risalente al XVI secolo e raffigurante l’arca di Noè: lavoro di bottega fiamminga, disegno – forse – di Raffaello, dimensioni importanti (4 metri per 5).
Da lunghissimo tempo il legittimo proprietario, il Capitolo di Cividale (che ricevette in dono il bene, insieme ad altri nove, dal patriarca veneto Francesco Barbaro, tramite disposizione testamentaria datata 20 dicembre 1615), sta cercando di recuperare il manufatto, ma fino a oggi non c’è stato nulla da fare: e adesso, in vista del centenario di questo “esilio”, la battaglia si inasprisce.
Per il 1º marzo è stata programmata una missione veneziana, nella speranza di dirimere una volta per tutte la questione e di poter dunque riportare a casa l’opera d’arte; l’arciprete di Cividale, monsignor Livio Carlino, sarà accompagnato dal direttore del polo museale del Friuli Venezia Giulia Luca Caburlotto e dalla direttrice del Museo cristiano e del tesoro del Duomo, Elisa Morandini. L’incipit dell’impiccio rimanda, si diceva, all’anno 1917, al mese di marzo per l’esattezza.
La guerra infuriava e il Capitolo, così, ritenne opportuno mettere in salvo una serie dei propri tesori, inviati nella sede veneziana della Soprintendenza per evitare il rischio di razzie o distruzioni. Partirono così pure gli arazzi donati dal patriarca Barbaro, che per oltre trecento anni avevano abbracciato il coro e decorato le pareti dell’abside maggiore del Duomo.
A ostilità concluse, poi, iniziò l’infinita trafila per la restituzione: monsignor Valentino Liva, decano del Capitolo, chiese alla Soprintendenza di rimandare a Cividale i drappi, conservati alla Ca’ d’Oro, ma si capì subito che l’operazione avrebbe dato filo da torcere; gli intensi rapporti epistolari non produssero alcun risultato. Nel 1937 intervenne perfino Amedeo di Savoia duca d’Aosta, promettendo i finanziamenti necessari per costituire il museo del Duomo. Niente da fare.
Si arrivò così alla seconda guerra mondiale, che impose la sospensione della pratica, riaperta alla fine del conflitto ma impantanatasi come nella precedente occasione.
Il 1988, finalmente, fu l’anno della svolta: nove arazzi furono restituiti alla città su disposizione ministeriale, ma quello dell’arca di Noè – il più grande e il più bello – non rientrò. Motivo? Era, all’epoca, in restauro all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e fu successivamente esposto in una sala allestita ad hoc alla Ca’ d’Oro.
Ma all’alba del centenario qualcosa si muove: lo scorso giugno il ministero ha riconfermato la necessità della restituzione del bene alla parrocchia di Santa Maria Assunta. Pare, insomma, che a questo punto si debba solo concordare con la direzione della Ca’ d’Oro le modalità del trasferimento.
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