La Savio fa fortuna in Cina I fornitori perdono il treno

PORDENONE. Savio conferma il suo radicamento in Cina, dove è presente con uno stabilimento di macchine tessili a Jining, con previsione di crescita del fatturato della divisione locale del 75 per cento nel 2011. In termini monetari la società pensa di introitare un miliardo 50 milioni di yuan contro i 601 dell’anno precedente. Una progressione che però non ha trovato una scia made in Italy. Come ha spiegato il direttore industriale di Savio Shandong, la filiale cinese del gruppo meccanotessile nome storico dell’imprenditoria pordenonese, Mauro Moro, nessun fornitore italiano di Savio ha seguito il gruppo nell’avventura cinese. «Avevamo offerto incentivi, oltre a un fatturato garantito - ha spiegato Moro al Sole 24 ore - ma nessuno ha raccolto la sfida. Per noi sarebbe stato importante ricreare in Cina una filiera integrata di fornitura. Così abbiamo dovuto costituire da zero una nuova base di supplier locali, con tutti i problemi conseguenti».
Un treno che non passerà mai più. «Noi alla fine abbiamo risolto i nostri problemi - ha continuato Moro - ma i nostri fornitori storici hanno perso un’opportunità unica di internazionalizzare il loro business».
L’avventura in Cina da parte della Savio è iniziata nel 2001 quando il gruppo di Pordenone decise di assemblare dei ritorcitoi oltre la Grande muraglia in joint venture con la Cnt, una società di distribuzione di macchine meccano-tessili controllata, come ricorda il quotidiano economico, da Franco Cutrupia e Pauline Wei. La scelta di Jining è stata legata alla forte industria tessile di qualità presente in zona e all’ampia offerta di manodopera, oltre al basso costo dei fattori produttivi unito agli incentivi concessi dalle autorità locali. Nel 2007 l’intera produzione di ritorcitoi è stata trasferita a Jining, dove è stato avviato anche l’assemblaggio delle roccatrici. Nel giugno scorso Itema Holding, la società che controlla il Gruppo Radici, ha raggiunto un accordo per la cessione di Savio Macchine Tessili e delle sue controllate (le due aziende in Italia, a Pordenone e Bergamo; due in Cina, a Jining e Sunzhou; oltre che in India, Svizzera, Belgio e Germania) ad Alpha, un fondo di private equity italo-francese guidato in Italia da Edoardo Lanzavecchia. Il valore dell’operazione si aggira attorno ai 300 milioni di euro.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto