La riabilitazione dei fusilàz: "Sia Marini l'ambasciatore"

UDINE. Ogni cosa sotto il cielo ha il suo momento: c’è un tempo per nascere, un tempo per morire. E per i quattro alpini fucilati a Cercivento il 1º luglio 1916 dovrebbe essere venuto il tempo della riabilitazione morale. Il Comitato costituitosi attorno alla loro memoria ha pronta la petizione con duemila firme raccolte sul sito del “Messaggero Veneto”, tenuta nel cassetto nelle more dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
A riceverla sarà un personaggio che sa di che cosa si tratta. Sergio Mattarella ( come il nostro giornale ha riferito ieri), anni fa ha presentato a Palermo “Compagnia fucilati”, libro scritto dell’ex senatore della Dc Diego Carpenedo.
«Ci piacerebbe che a inoltrare l’appello al Quirinale fosse Franco Marini, presidente del comitato per le grandi ricorrenze istituito presso la Presidenza del Consiglio, in pratica l’uomo che ha la responsabilità delle celebrazioni del centenario», dice Carpenedo, carnico doc e componente il Comitato per la restituzione dell’onore ai fusilâz.
C’è un’onda morale e politica che spinge in questa direzione: la Provincia di Udine, con voto unanime, ha impegnato il presidente Pietro Fontanini ad attivarsi sul caso. E analogamente si è mossa la Regione, con una mozione trasversale proposta da Enzo Marsilio del Pd e dall’ex governatore Renzo Tondo, fatta propria dalla giunta di Debora Serracchiani.
I segnali non vengono solo dal Friuli. Sergio Dini ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati militari, ha chiesto di ripensare la questione dei soldati uccisi “per l’esempio”, partendo proprio dal caso Cercivento. Cui Paolo Rumiz, su Repubblica, ha dedicato un pezzo in prima pagina, e Toni Capuozzo la puntata di “Terra!” andata in onda ieri sera.
L’onorevole Fabio Lavagno (Led) ha presentato una proposta di legge.
Già in passato ci sono state iniziative parlamentari. Anni fa in commissione giustizia della Camera era passata una risoluzione bipartisan firmata da Valdo Spini e dai colleghi Ruffini, Gatto e Lavagnini, che citava «l’ingiusta condanna a morte dei giovani alpini Ortis Matiz, Corradazzi e Massaro», definendola «la decimazione di Cercivento». Seguita da una proposta di modifica del codice di procedura penale, non andata a buon fine per lo scioglimento anticipato delle Camere.
Più di recente Spini ricorda di aver parlato della questione delle decimazioni presentando un numero degli Annali della Fondazione Ugo la Malfa. «Dissi che il secolo passato da allora doveva essere l’occasione buona per ripensarci e riparare», racconta Spini. «Mi ascoltavano il ministro Dario Franceschini e anche Franco Marini. Nessuno mostrò disagio o contrarietà. Anzi mentre affermavo queste cose, annuivano, come tutti».
C’è, in Italia, un vento nuovo che spira verso la Francia e l’Inghilterra (che in materia di esecuzioni capitali per codardia o disubbidienza si sono mosse da tempo). Monsignor Santo Marcianò vescovo Ordinario Militare ha da poco pronunciato parole forti: «Riabilitare i militari disertori, come caduti di guerra: giustiziarli fu un atto di violenza ingiustificato, gratuito, da condannare. La mutata sensibilità comune nei confronti della guerra aiuterà a comprendere che, quale che sia la ragione che ha sostenuto la scelta di quei soldati, fosse anche la semplice paura, si tratta di un frutto amaro che, in ogni caso, la guerra ha causato. Così come è frutto amaro la scelta della violenza, anche quella punitiva o dimostrativa, che la guerra genera e moltiplica».
Non sono più, evidentemente, i tempi della lettera ai cappellani militari di don Lorenzo Milani, condannata per vilipendio (il priore morì prima, la sentenza toccò solo il direttore di Rinascita, che l’aveva pubblicata).
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