La Regione Fvg minaccia lo strappo con Roma per far riaprire i negozi da lunedì 11

Fedriga vuol evitare di arrivare alla rottura con Roma come hanno fatto la Calabria e Bolzano. Ma pensa a ordinanze comuni con gli altri presidenti nel caso in cui il ministro Boccia si opponga

UDINE. Il modello Alto Adige si limita, almeno per il momento, all’appello lanciato alla politica nostrana di vestire i panni dell’Svp – leggasi guardare prima agli interessi del proprio territorio e poi a Roma – nel braccio di ferro con il Governo sui Patti finanziari.

Massimiliano Fedriga, infatti, a oggi, non pare avere alcuna intenzione di muoversi sullo stesso terreno della Provincia di Bolzano che giovedì notte ha approvato una legge grazie alla quale, da venerdì 8 maggio, ha riaperto più o meno tutto.

No, il governatore non vuole arrivare allo strappo con Roma, ma nel caso in cui il Governo non dovesse accogliere la richiesta presentata giovedì all’unanimità dalle Regioni – cioè riaprire i negozi da lunedì e scelte locali dal 18 maggio – allora potrebbe forzare la mano magari – si mormora – con una possibile ordinanza comune di tutti i presidenti, o buona parte di essi, da firmare entro domenica 10.

La situazione della trattativa

Le Regioni attendono per sabato 9 una risposta dal ministro Francesco Boccia sulle possibili riaperture di lunedì. Sì, perché nel confronto con il Governo due giorni fa è passata la linea Fedriga – poi fatta propria anche dal governatore dell’Emilia-Romagna, e a capo della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini – di, appunto, ottenere il via libera per i negozi al dettaglio da lunedì 11 e la possibilità per i presidenti di scegliere liberamente che cosa riaprire da lunedì 18.

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Boccia sembra orientato a non voler concedere nulla, o comunque molto poco a breve, alle Regioni che, però, continuano il loro pressing, come dimostrato anche dalle parole di ieri del governatore del Friuli Venezia Giulia.

«Le Regioni hanno un rapporto molto diretto con il territorio – ha spiegato il presidente – ed è dunque giusto che venga data loro la possibilità, all’interno di un quadro deciso dal Governo nazionale, che condividiamo perché siamo collaborativi, di muoversi con maggiore libertà».

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Ribadendo che la situazione del Friuli Venezia Giulia è paragonabile a quella di una regione del Sud in quanto alla pandemia, Fedriga ha ricordato che «anche il Piemonte ha firmato il documento inviato al Governo ed è in una situazione difficile per cui occorre garantire risposte mirate, uniformarsi rispetto alle esigenze di un territorio».

Perché altrimenti, si chiede il governatore «come potremmo spiegare ai cittadini che le misure da prendere in un territorio particolarmente colpito debbano essere applicate anche alla Calabria e al Molise, dove i contagi sono bassissimi?».

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Il concetto, in fondo, è basico. «Non vogliamo riaprire tutto da lunedì – ha concluso Fedriga –. Abbiamo presentato a Roma, come Regioni, un’ipotesi molto responsabile chiedendo di ricominciare dal commercio al dettaglio e di attendere il 18 per le attività mancanti. Il nostro compito oggi è quello, pur in massima sicurezza, di aiutare un tessuto economico che sta soffrendo moltissimo e, allo stesso tempo, lanciare segnali di fiducia ai cittadini».

Le altre regioni

Fedriga mantiene ancora toni bassi – anche se nel confronto con Boccia si racconta si siano alzati, e sembra anche parecchio – nei confronti del Governo, ma la situazione a livello generale sta, piano piano, sfuggendo al controllo di palazzo Chigi perché ogni Regione, ormai, pare davvero andare per conto proprio.

Dopo l’ordinanza della Calabria che autorizzava il servizio e il consumo di cibo e bevande sui tavoli all’esterno di bar e ristoranti – peraltro ancora in vigore visto che l’udienza davanti al Tar è prevista soltanto per oggi e il Tribunale potrebbe rimandare tutto alla Consulta –, il guanto di sfida a Roma è arrivato dalla provincia di Bolzano che, di fatto, da oggi ha aperto praticamente ogni attività sul territorio di competenza.

«La Provincia di Bolzano intende affrontare questa “fase 2” all’insegna dell’applicazione della nostra Autonomia», ha sottolineato il presidente Arno Kompatscher che, tra l’altro, non sembra essere molto preoccupato dall’annuncio di Boccia di voler impugnare la legge stessa – ma soltanto per le parti che riguardano la sicurezza sul lavoro – anche perché se questa dovesse finire alla Corte costituzionale i tempi andrebbero ben oltre qualsiasi settimana di maggio oppure di inizio giugno.

Non soltanto, però, perché poi c’è il presidente della Puglia – di centrosinistra – Michele Emiliano che ha già emanato una propria ordinanza con cui annuncia il via libera a parrucchiere ed estetiste dal 18 maggio.

Il campano – e governatore del Pd – Vincenzo De Luca, inoltre, ha promesso la riapertura totale fra dieci giorni nel caso in cui non ci siano nuovi focolai di contagio e perfino il toscano Enrico Rossi ha chiesto la possibilità di fare rialzare le saracinesche già da dopodomani a 18 mila 204 esercizi commerciali con dimensioni inferiori ai 300 metri quadrati.

La possibile strategia

Il pressing, dunque, è pressoché generale ed è continuato per tutta la giornata di ieri. Nel frattempo in piazza Unità sono proseguite le telefonate con i vari governatori e si è affacciata un’idea che per il momento è soltanto tale, ma che potrebbe a breve diventare qualcos’altro nel caso in cui il Governo dovesse continuare nel muro contro muro.

Fedriga e una buona fetta di presidenti di Regione, infatti, stanno valutando la possibilità di forzare la mano attraverso ordinanze locali che consentano ai negozi di ricominciare a vendere – non soltanto con consegne a domicilio – da lunedì oppure, al massimo ma non sarebbe l’opzione preferita, a metà settimana.

Certo, mancherebbero sempre le linee guida sulla sicurezza dell’Inail, che Boccia ritiene fondamentali per le riaperture, e dunque Roma potrebbe impugnare tutte le ordinanze.

Nel caso in cui non fosse soltanto una manciata di Regioni a emanarle, però, ma una buona fetta di periferia, il problema per il Governo non sarebbe soltanto la tempistica – visto come sarebbe quasi scontato che si andrebbe oltre la settimana del 18 maggio –, ma anche l’apertura di uno scontro istituzionale. Un corto circuito pericoloso cui, in fondo, nessuno vorrebbe arrivare perché in queste situazioni si sa sempre come si comincia, ma mai come si finisce.

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