La passione per la montagna Aveva scalato anche in Nepal

Porcia. In famiglia non ricordano il nome della vetta himalaiana, sopra gli ottomila metri, che Marzio Verardo aveva provato a raggiungere, quasi riuscendoci, in ottobre durante il viaggio in Nepal che era rimasto per sempre nelle sue emozioni e nei suoi pensieri.
Non si ricordano il nome preciso della vetta, perché Marzio Verardo non era solito raccontare delle imprese realizzate. Quella vota aveva dovuto rinunciare a poche centinaia di metri dalla cima, «per i sintomi – racconta il cognato Andrea Pezzato – di congelamento al naso e al viso».
Pur non essendo alpinista per professione, Marzio Verardo si era misurato, con successo, su tutte le principali vette dell’arco alpino, compresi i “quattromila” per antonomasia: il Bianco, il Rosa, il Cervino.
L’avventura nepalese, aveva aumentato, se mai era possibile, la passione per la montagna che Marzio Verardo continuava ad affrontare, anche domenica nell’escursione solitaria in val Sughet-Cima Manera, con la massima prudenza, dotandosi di tutte le moderne attrezzature, indispensabili per la propria sicurezza. Non è chiaro, almeno finora, se il tragico incidente che lo ha colpito sia avvenuto dopo che Verardo era già salito dalla val Sughet in vetta al Cimon del Cavallo o Cima Manera, 2.251 metri, percorso che rappresenta sempre un’escursione impegnativa, anche in estate. Escursione che si trasforma in impresa quando la si esegue da soli, in inverno.
Le capacità di Marzio Verardo erano fuori discussione, tanto che aveva deciso di essere di ritorno a casa, come sempre soleva fare, per consumare il pranzo con la moglie Elena e il figlio nel primo pomeriggio. Invece la sua tragedia si è aggiunta a quella di un altro alpinista, Francesco Mizzau di San Giorgio di Nogaro, anche lui precipitato domenica in val Sughet dall’altavia dei Rondoi. –
S.C.
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