La fortuna del Santo Sepolcronel medioevo

Spazio, liturgia, architettura
di Renata Salvarani

Jaka Book

edizione 2008

202 pagine
24,00 euro



di Mario Turello

«Nel mondo intero, ma specialmente in Italia e nelle Gallie (...) pareva che la terra stessa, come scrollandosi e liberandosi dalla vecchiaia, si rivestisse tutta di un candido manto di chiese»: è celebre il passo delle
Storie
di Rodolfo il Glabro che poeticamente descrive la fioritura architettonica avvenuta in Europa non appena deposti i terrori con cui si era atteso il compiersi del primo millennio. Poco oltre si legge che «nello stesso periodo, da tutto il mondo, cominciò a dirigersi verso il Sepolcro del Salvatore, a Gerusalemme, una folla immensa, come mai nessuno prima di allora aveva osato sperare».


Ebbene, tra i due fenomeni intercorre uno stretto rapporto in quanto furono moltissime, nell’ecumene cristiana, le chiese, i sacelli, le edicole, i cenotafi intitolati al Santo Sepolcro: innumerevoli
imitationes
di un unico
exemplum
, quello di Gerusalemme, che nondimeno presentano una estrema varietà di forme, strutture, disposizioni. Le difformità delle repliche dello stesso prototipo sono oggetto delle ricerche di Renata Salvarani, medievalista, che ne individua molteplici ragioni culturali, liturgiche, politiche: altrettanti motivi di interesse per il lettore.


Il Santo Sepolcro di Gerusalemme subì nei secoli ripetuti ampliamenti, distruzioni, rifacimenti, ristrutturazioni. Di questi spazi mutevoli e del loro uso liturgico (a complicare le cose fu anche la compresenza, non facile, nella chiesa del Santo Sepolcro, di ben nove confessioni cristiane: latini romani, greci, russi, suriani, armeni, giacobiti, nubiani, etiopi e abissini, maroniti.


Una situazione che perdura tutt’oggi: si veda
Il guardiano del Santo Sepolcro
, di Franco Cardini e Simonetta Della Seta, Mondatori) i pellegrini riportarono in patria percezioni e interpretazioni diverse, che furono a loro volta adattate secondo le intenzioni dei vescovi, degli ordini religiosi, delle committenze, privilegiando ora le imitazioni “topomimetiche” (riproduzione architettonica il più possibile fedele), ora quelle “liturgiche” (realizzazione di spazi e strutture comunque adatte alle celebrazioni gerosolimitane).


L’apparato iconografico illustra il Santo Sepolcro di Gerusalemme, ma purtroppo nessuna delle sue “copie”.

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto