La fine di un modello senza più missione, isolato dai teatri e schiacciato dal lirico

Non basterà una delibera a cambiare passo, manca un’idea di relazione col pubblico (e basterebbe copiare gli altri) 

Storia travagliata ed emblematica quella dell’Orchestra, o delle Orchestre del Friuli Venezia Giulia. Gli ingredienti sono però tipici di una storia molto italiana, più che friulana; nella crisi della musica sinfonica italiana, tranne poche eccezioni, ci sono infatti più politica e normative, che spartiti, leggii e grande musica.

Contributi erogabili solo a fronte di fatture saldate da parte dell’Orchestra - che però, non essendo capitalizzata, non può anticipare i pagamenti, per poter fare i quali attende invece di ricevere il contributo. Contributi annunciati a inizio anno che si dimezzano a metà dello stesso anno, inaspettatamente e a fronte di spese già effettuate per importi superiori.

Musicisti che sono stati negli anni licenziati, poi assunti, poi nuovamente licenziati, poi invitati a costituirsi in associazione, assegnati alla gestione di enti, poi invitati a auto-gestirsi, assegnati a un teatro e da una città all’altra, blanditi in campagna elettorale e mal sopportati durante la legislatura.



La sindacalizzazione

In tutta Italia, uno dei problemi delle orchestre e degli enti lirico-sinfonici è la tuttora eccessiva e mal interpretata sindacalizzazione delle masse orchestrali, che per conquistare illusori privilegi momentanei, ha spesso contribuito ad aggravare i bilanci e le prospettive occupazionali dell’intero settore. In Regione pare che le Orchestre siano fatte nascere (e chiudere) con emendamenti di giunta, mai come conseguenze di strategie culturali di medio-lungo periodo.

È vero che un’orchestra del Friuli Venezia Giulia non ha mai dimostrato una propria vera necessità, ma è anche vero che l’Ente lirico sinfonico, che ha sede a Trieste, non è mai stato capace, o non ha mai avuto interesse a essere Ente davvero regionale, di tutte le città e i pubblici di questa regione, a coinvolgere i suoi esperti di musica, a far crescere i suoi direttori, a dialogare attivamente con i suoi Conservatori, a valorizzare le sue qualità musicali.

Questa distrazione o sottovalutazione di ruolo e di territorio, ha alimentato rivendicazioni, insoddisfazioni, velleità, delusioni di talenti veri o potenziali, che hanno speso impegno, passione e (molte) risorse pubbliche, inseguendo personali traiettorie, che animavano temporanee e soggettive politiche culturali, nel vuoto determinato dall’assenza di quelle regionali.

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Un’Orchestra del Fvg non è mai riuscita a essere riconosciuta e rivendicata tra le istituzioni che sarebbero state indispensabili a far rinascere il territorio friulano e al tempo stesso connotarne l’identità post-terremoto. Dei molti tentativi e delle diverse, anche tra loro inutilmente competitive, esperienze orchestrali nate in Friuli dagli Anni Ottanta in poi, restano nella memoria una serie di istantanee, polaroid ingiallite di singoli eventi, non una vicenda, una storia plurale e lineare.

Resta il procedere disordinato, il balbettio di decine di piccoli progetti, premi, rassegne, tournée, stagioni, cicli, ognuno finanziato, isolato e ben distinto dagli altri, mai però in grado, insieme, di restituire un disegno unitario, coerente, solidamente alternativo (o complementare) al maestoso, compatto, economicamente sempre garantito procedere del monumentale Ente lirico Giuseppe Verdi di Trieste.

È un panorama medioevale, fatto di piccoli castelli e castellieri isolati, indipendenti, anche litigiosi tra loro, quello che disegna la storia della produzione musicale orchestrale friulana di questi decenni. Costi di gestione non più sopportabili dai bilanci pubblici locali, gravati da rivendicazioni di indennità extra-retributive, a volte irrealistiche; ritrosie ad assumere impegni concertistici extra-regionali; costi sempre più alti anche per effettuare un solo concerto, per complessi composti tra i 50 e 100 artisti; una fatica sproporzionata per riuscire a suonare in territori poveri di abitanti, di spazi adeguati e oggi anche di risorse pubbliche o private; l’aspirazione a essere riconosciuti come un valore e un patrimonio del territorio, rivendicata però più dai musicisti stessi, che dal loro pubblico, sostanzialmente indifferente a distinguere tra produzione e ospitalità musicale.

Non è un caso che le orchestre regionali o cittadine stabili siano sempre più rare in Italia. Sopravvivono quelle nel passato hanno saputo sommare il triplo regime contributivo: statale, regionale e cittadino. Oggi si finanzia (perché si motiva) un’orchestra stabile dove c’è un grande festival musicale, oppure un importante teatro, che di un’orchestra hanno effettiva necessità (non però il Giovanni da Udine, che ha sempre evitato di stringere collaborazioni stabili con le diverse orchestre udinesi, per primo costringendole alla marginalità).

Non è quindi un caso che oggi le orchestre territoriali non siano sempre e solo stabili – come invece hanno sempre chiesto di essere quelle friulane –, che siano invece in certi casi orchestre “a tempo determinato”, costituite ad hoc per progetti speciali e specifici, e sciolte alla loro conclusione.

Orchestre a tempo

È una materia complessa. Oggi ha poco interesse individuare torti e ragioni, perché più importante è l’evidenza di quanto anche il settore musicale debba essere aggiornato, riconfigurato, riequilibrato alle nuove esigenze di un presente in profonda trasformazione, del mutare della domanda e del consumo culturale, della riduzione delle disponibilità pubbliche, dell’anacronismo di enti e modelli produttivi costruiti diversi decenni fa e rimasti immutati ancora oggi.

Si potrebbe cercare di capire cosa succede e che soluzioni hanno adottato in altre regioni e in altre parti d’Europa; chiamare a consulto esperti, critici, musicologi; chiedere proposte alle rappresentanze; andare a conoscere e parlare con i protagonisti del settore musicale regionale, non per ascoltare richieste e rivendicazioni, ma per raccogliere attese e potenzialità, verificare debolezze e limiti. Si potrebbero allora stabilire delle direttrici generali di sviluppo, almeno una visione di sistema, se non una politica culturale regionale. Senza uno sguardo d’assieme, un disegno che coinvolga e interessi tutti gli attori del sistema della musica della regione, ogni atto amministrativo apparirà solo come un gesto arbitrario, che determina effetti, ma non incide su cause e opportunità, non produce miglioramenti o efficienze, ma prelude solo a ulteriori, prossime crisi.

 

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