La diga sì, anzi no: quel caso strano in Val Raccolana

Chiusaforte, la storia del paese e del suo lento declino: oggi si presenta il libro di Latino Fuccaro.

Negli anni Cinquanta l'Italia era pervasa dalla febbre delle grandi dighe (che causò poi le tragiche conseguenze viste sul Vajont). Un bacino idroelettrico venne progettato anche a Saletto, lungo la Val Raccolana, con una capacità di 47 milioni di metri cubi d'acqua. Lo sbarramento, alto una settantina di metri, doveva sorgere in località Ponte delle Lastre, ma quasi subito i lavori vennero sospesi mentre si continuò alacremente a realizzare una strada alternativa dato che quella esistente sarebbe stata sommersa dal lago. Ma anche in questo caso l'opera restò poi incompiuta. Lungo il canale che porta a Sella Nevea si verificò così dal 1949 tutto uno scombussolamento che causò l'esproprio e il trasferimento forzato di 297 abitanti, indotti ad andarsene anche dalla speranza di un futuro economico più roseo per la zona. I motivi dell'abbandono del progetto sono da cercare probabilmente negli aspetti geologici del territorio, che furono approfonditi solamente in corso d'opera, oppure nella posizione della Raccolana, a due passi dal bollente (allora) confine con la Jugoslavia. Nessuno fu chiamato a dare spiegazioni ufficiali e nessuno le diede se a tanta distanza di tempo il caso resta misterioso. Quella lontana vicenda, di cui in Friuli non si ha quasi memoria, provocò comunque il declino di una valle.

Questo della diga mai finita è uno dei tanti episodi succedutisi a Chiusaforte, paese collocato in un luogo cruciale, nel cuore del Canal del Ferro, sulla strada verso l’Austria, e la cui esistenza nel corso dei secoli è stata condizionata da tale posizione. Le piccole vicende del pugno di borgate si sono sempre legate a quelle della grande storia perché lì sono passati tutti, essendo inevitabile farlo. In antichità la strada che attraversava le valli veniva chiamata via dell'ambra, preziosa resina fossile che dalle coste del Baltico giungeva fino alle sponde dell'Adriatico e per mare ai porti egizi, greci e italici. In seguito divenne la via del sale, l'oro bianco indispensabile per la conservazione degli alimenti. Era estratto nelle miniere di Hallstatt, nell'alta Austria, e pure finiva ai porti per essere poi venduto ovunque. Infine, quando dalle miniere della Carinzia cominciò a giungere il ferro, la valle ne prese il nome, come accade tuttora. A un certo punto il Canale si restringe rapidamente fino a formare una vera e propria chiusa. Qui, usando le parole di un pellegrino del 1682, «la natura fa il loco forte». Da simili dettagli è allora facile capire l'origine del nome, che venne unificato in Chiusaforte solo in epoche recenti.

A narrare questi aspetti fondamentali per capire la storia, la cultura, l'economia, ma anche il carattere di un luogo, è il libro Chiusaforte e la Val Raccolana dalle origini ai giorni nostri, pubblicato da La Chiusa edizioni (199 pagine, 20,00 euro), di cui è autore Latino Fuccaro, con inserti tematici a cura di Antonino Danelutto. Sarà presentato oggi, alle 19, nella sala convegni del Comune e l'incontro diverrà sicuramente anche una festa per la gente della zona, sia di quella ancora residente sia di quella che torna per le vacanze, visto che il sentimento che unisce a queste case, a queste strade, resta fortissimo, pur essendo i dati demografici drammatici. Il punto più alto lo si raggiunse nel 1921 con 3.095 abitanti, divisi (visto che ancora non formavano un Comune unico) fra i 1.519 di Chiusaforte e i 1.576 di Raccolana. Poi la curva cominciò la parabola in discesa, toccando i 2.539 nel 1931, i 1.681 nel 1961, i 1.048 nel 1981, i 702 di oggi, con un'età media molto elevata. Le cause sono intuibili e simili a quelle che hanno fatto sparire la gente dalla nostra montagna. Ma a ciò Chiusaforte, come tutto il Canal del Ferro, aggiunse problemi specifici, in primo luogo quelli causati dalle grandi vie di comunicazione che si sono sovrapposte (autostrada, ferrovia) tagliando fuori i paesi. L'ingresso dell'Austria nell’Unione europea ha poi comportato altri contraccolpi causando la perdita di tanti posti di lavoro, come pure è accaduto con la chiusura della caserma nel 1995. Problemi ingigantiti dal fatto che non è stato invece innescato un fenomeno di crescita turistica. Le intenzioni e le belle parole sono servite a poco. Gli alberghi, ristrutturati dopo il terremoto, restano lì, vuoti e tristi, quasi degli spettri a ricordo di quando la villeggiatura a Chiusaforte era una piccola moda. Neppure la nascita del polo sciistico di Sella Nevea ha salvato la situazione. Nel libro di Fuccaro è citato un articolo apparso nel 1967 sul bollettino parrocchiale in cui si legge: «Se tutto andrà per il verso giusto Sella Nevea diverrà il centro turistico della Regione e lassù molti nostri concittadini troveranno il lavoro e una favorevole prospettiva per l'avvenire...». Le cose, viste con l'esperienza di questi 40 anni, sono andate ben diversamente.

Il senso del libro di Latino Fuccaro, intelligente memoria storica del paese, è dunque quello di esporre (secondo un filo logico narrativo) date, problemi, vicende, destinandoli a chi è di Chiusaforte e anche a tutti gli altri. Un piccolo microcosmo, con le sue complessità, è sempre specchio per intuire i temi generali. Ma infine va detto che, con tutti i guai e l’emarginazione che la gente ha dovuto subire, la valle resta ancora viva e sorprendente, se è vero che da quelle case lungo il Fella arriva la voce di uno dei grandi poeti friulani. Pierluigi Cappello ha narrato così la sua Chiusaforte: «Sono nato al di qua di questi fogli / lungo un fiume, porto alle narici / il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio / di quando nevica, la memoria lunga / di chi ha poco da raccontare».

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