La crisi fa chiudere altre 108 imprese

Sono quelle dichiarate fallite nel 2012 in provincia di Udine: trend in linea con gli ultimi anni

UDINE. Parlare di aumenti o d’impennata dei fallimenti, ormai, non ha più senso: la crisi c’è, i suoi effetti sono sotto l’occhio di tutti e fronteggiarla richiede uno sforzo collettivo e prolungato. Il numero delle aziende costrette a sventolare bandiera bianca a Udine e provincia, d’altra parte, ha superato la soglia di attenzione già da tempo: erano state 107 nel 2009, 102 nel 2010, 109 nel 2011 e, a conferma del trend negativo, sono state 108 nel 2012. Un quadro a dir poco sconfortante e difficilmente migliorabile, almeno a breve, viste le previsioni economico-finanziarie prospettate per l’intero Paese. Ma in Friuli, si sa, la gente è bravissima a rimboccarsi le maniche. E il messaggio che arriva dagli addetti ai lavori punta proprio a far suonare la riscossa.

Due chiusure a settimana. Presentate in proprio o su richiesta dei creditori, le istanze approdate a sentenza di fallimento tra gennaio e dicembre sono state dunque 108. Cioè, in termini di statistica, più di due a settimana. A finire falcidiate nella morsa della crisi, al solito, sono state soprattutto ditte individuali e srl, oltre a qualche impresa di spicco per storia e fatturato. Su tutte, il colosso lignanese formato dalla “Rino Sostero Costruzioni” e dalla “Immobiliare Sabbiadoro”, dichiarato fallito il 3 agosto con un passivo aggregato di 56 milioni di euro (sentenza confermata in Appello la settimana scorsa).

Emblematico, invece, il caso della “Immobiliare Gamma srl”, di Udine, sulla quale il tribunale fallimentare si era pronunciato il 27 settembre e finita, di lì a poco, negli atti della nuova inchiesta per bancarotta fraudolenta che, il 20 dicembre, ha portato all’arresto del suo amministratore di fatto, il commercialista Franco Pirelli Marti.

L’àncora di salvataggio. Si chiamano concordati preventivi e, come ben noto a chi frequenta le aule di largo Ospedale vecchio, servono a evitare il colpo di grazia. A indicare, cioè, un percorso capace di fare uscire l’azienda dalle secche della crisi, prima di essere trascinati a picco dal fallimento. Nel 2012, le ditte ammesse dai giudici alla procedura del concordato preventivo sono state 18 (sei in più rispetto all’anno precedente). Quante riusciranno a saltare l’ostacolo, ottenendo l’omologa, però, non è ancora dato sapere. Tra le società in liqudazione, anche la Luciolicar spa di Pradamano.

L’analisi dei commercialisti. Duplice la chiave di lettura suggerita da Lorenzo Sirch, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Udine. «Lo scenario friulano - afferma - non fa che riflettere la drammaticità degli effetti prodotti dalla crisi economica nazionale e internazionale. Tanto più - aggiunge -, se si considerano anche la cronica sottocapitalizzazione presente pure nel nostro territorio e la diffidenza tipica per le aggregazioni e le aperture del capitale a fondi o terzi». Ma aggredire il problema, limitandosi a fare piazza pulita delle aziende in difficoltà, secondo il professionista, non è sicuramente la scelta più efficace. «È dovere di tutti cercare di limitare i danni - sostiene Sirch -, offrendo alle imprese meritevoli la possibilità di affrontare e risolvere la crisi ai primi sintomi di malessere.

È proprio per questo che il legislatore ha di recente introdotto norme atte a facilitare l’applicazione di strumenti in grado di risolvere la crisi, prima della dichiarazione di fallimento: penso ai piani attestati, agli accordi di ristrutturazione e ai concordati preventivi. Eppure - continua -, stando ai dati, il fallimento continua a essere la più frequente “soluzione” alla crisi dell’impresa, dimenticando che questo, in molti casi, comporta una distruzione di valore che impatta pesantemente su fornitori, clienti, dipendenti, banche. Insomma, su tutto il tessuto sociale. Ebbene, ritengo che questa tendenza vada invertita, estendendo, naturalmente laddove possibile, il ricorso a soluzioni di salvataggio alternative».

E quella degli industriali. Equilibrata e in qualche modo fiduciosa anche l’analisi del presidente di Confindustria Udine, Adriano Luci. «Il raffreddamento generale dell’economia continua a lasciare vittime sul campo - osserva -. Nella selezione, a salvarsi sono le imprese che si sono dimostrate capaci di elaborare dimensioni più consone ai mercati allargati. Ecco, per continuare a lavorare c’è bisogno di questo: aggregazione e consorzi di filiera». Ma anche di un’Italia capace di «frenare la spesa pubblica» e di impostare «una politica industriale diversa». Perchè per Luci, «il “fai da te” non va più bene e per presentarsi ai mercati, oggi più che mai, serve una bandiera comune. Puntando all’eccellenza e ispirandosi ai modelli tedesco e francese».

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