La confessione della Melato al Giovanni da Udine

La morte a 71 anni dell’interprete popolarissima di Fiore in Mimí metallurgico. Dietro le quinte del Nuovo disse: quando recito ci metto l’anima e anche di piú
1992, Roma, Mariangela Melato in camerino in una pausa delle prove della Bisbetica Domata
1992, Roma, Mariangela Melato in camerino in una pausa delle prove della Bisbetica Domata

UDINE. Lei davvero era un’attrice che calzava perfettamente il significato di un detto: «L’artista si nasconde dove c’è più luce». Ecco, si nasconde. Mariangela Melato non è mai stata donna da ribalta gossip, interpretò il mestiere lontano dai risvolti per qualcuno necessari della dolce vita. Montava in scena, indossava la maschera, poi se la sfilava e tutto finiva lì. Il . dopo non ci riguardava.

E come visse così si è accomiatata. Pochissimi sapevano del suo male bastardo, nessun outing - ora è sempre più in voga dichiarare il proprio cancro, nemmeno fosse una griffe da esibire con vanto - nessun messaggio subdolo fatto giungere per preparare un pubblico fedele. L’abbiamo saputo ieri mattina. Ma come? È morta la Melato? Impossibile. Ne aveva 71, la signora milanese. Poteva averne 55, per quanto ci riguarda. La gente di show, o per lo meno alcuni di loro, non invecchiano mai.

Ti sfugge una sera su un canale qualunque l’ennesima replica di Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto (1974) della Lina Wertmüller e te la vedi splendida e aggressiva trentenne. Mica ci ragioni, be’, adesso... No. Strano pensarla settantenne. Alla fine dei Novanta, con un Giovanni da Udine fresco fresco di pittura, la Melato si presentò sul proscenio con La Dame de chez Maxim di Georges Feydeau per la regia dell’argentino Alfredo Arias.

La stagione debutto del Nuovo firmata dal Css dell’allora direttore Renato Quaglia. Mariangela si prestò volentieri a una chiacchierata in camerino. «Guardi - ci disse - io sono una persona sincera e onesta. Chi viene a vedere un mio spettacolo si ripaga il prezzo del biglietto. Ci metto l’anima e anche di più quando recito là sopra. Ogni santa sera».

Per mezzo secolo accade questo. Si aggrappò al lavoro con la determinazione di chi sa cosa sente nel cuore. Ci arrivò gradatamente. Prassi di quella volta. Scalavi con lentezza e soltanto se valevi qualcosa. La prese alla larga, la ragazza Melato. Ci provò con la pittura all’Accademia di Brera. E allestendo le vetrine della Rinascente. Le occorrevano i dané per i corsi di recitazione. Caparbia la tusa.

E ventenne calcò il palco della vita. Un Settimo ruba un po’ meno al fianco del Dario Fo nazionale fino all’ingaggio allo Stabile di Trieste. Fu forgiata sulle rive dell’alto Adriatico. Giuseppe Maffioli e Luciano Damiani la diressero, nel ’66, in Sior Tonin Bellagrazia e ne La danza del sergente Musgrave. Finché la notò Luchino Visconti (La monaca di Monza) e soprattutto Luca Ronconi, il maestro che seppe farla conoscere al grande pubblico.

Nella prima metà del Novecento erano quelli i gradini necessari. Non pronunciavi nemmeno «Il pranzo è servito» senza la stramaledetta gavetta. Spesso al sapore di pane e cipolle, si diceva. La stoffa si mostrava step by step e Pupi Avati la risucchiò nel cinema. Non un gran esordio: Thomas e gli indemoniati. Le capiterà di meglio, l’anno dopo, il 1971: La classe operaia va in paradiso, di Elio Petri con una splendida Melato quale Lidia, l’amante di Gian Maria Volonté/Lulù.

Al cinematografo ci restò fino al 2005 (Vieni via con me di Carlo Ventura) attraversando le migliori stagioni italiane, senza la benché minima fatica nel porsi maschera drammatica (Toto modo, Caro Michele, Dimenticare Venezia, Figlio mio, infinitamente caro) o di commedia (Mimí metallurgico ferito nell’onore, Film d’amore e d’anarchia, Casotto e Mortacci).

L’amore che scorre continuamente su pelle, il più epidermico e forte, è e rimane il teatro. Melato è diva, ma si scorda di esserlo. Si sa, questo sì è noto, del sentimento che la lega a Renzo Arbore, la storia delle storie, un quarantennio di affetto mai domo. Altre amicizie saranno coriacee, con Lina Wertmüller e con Giancarlo Giannini, compagni di navigazione nei tormentati mari d’agosto e in altri fantastici altrove. Ah, la prosa. I caposaldi della drammaturgia faranno parte del suo palmarès: Medea e Fedra di Euripide, Vestire gli ignudi di Pirandello e La bisbetica domata di Shakespare.

Ma anche nell’indimenticabile Orlando Furioso o nell’Orestea di Eschilo e in Quel che sapeva Maisie, tutti marchiati Ronconi, ovviamente. Qualche comparsa pure sul casalingo schermo piccolo a cominciare dallo sceneggiato (si chiamavano così prima di fiction) di Franco Giraldi Una vita in gioco. Due anni fa interpretò per la tv Filumena Marturano con Massimo Ranieri, riapparso proprio il giorno di Capodanno. Un segno? Nel 2007 Melato si piglò una pausa dall’impegno sfoderando un one woman show - Sola me ne vo - dove ballava e cantava. «Madonna fece il remake di Travolti... era giunto il tempo di renderle la pariglia».

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