La chiusura delle caserme segnò l’inizio della fine Ma ora il Capitol rinasce

Sala ricavata in un condominio alla fine degli anni Sessanta Seicento posti a sedere per rispondere alla voglia di film
Con questo primo articolo cominciamo una sorta di viaggio a puntate nel “cinema a Pordenone”, anzi nei cinematografi. Quelli che ci sono, ma anche quelli che non ci sono più o che non ci sono mai stati o che ritorneranno
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La prima proiezione cinematografica in città di cui si ha traccia avvenne agli inizi del secolo scorso nel complesso dell’ex convento di San Francesco in piazza della Motta e poi, a poco a poco, sorsero (e scomparvero) diversi altri cinema come il Roma sotto i portici a metà del corso Vittorio Emanuele, chiuso negli anni 50. Un proiezionista del Roma raccontava spesso di quella volta che andò dai carabinieri a denunciare la scomparsa delle scatole di metallo con all’interno la pellicola da proiettare. Pellicola che il corriere lasciava puntualmente davanti alla porta del cinema. Scoprì così che era stata portata in caserma dai carabinieri a causa della scritta “dinamite” sul dorso della scatola, ovvero una parte del titolo “Kid Dinamite” del regista Wallace Fox in programma al Roma.


Ci fu anche un progetto agli inizi degli anni 40 per costruire un cinema-teatro praticamente di fronte all’odierna Prefettura, nello spazio compreso fra viale Marconi, via XXX aprile e largo San Giovanni dove ora sorge un anonimo condominio. Progetto bellissimo, rimasto, però, sulla carta a causa della seconda guerra mondiale.


Ma partiamo dall’ultimo cinematografo nato, quel Capitol (dal latino capitolium, caput) che in questi giorni miracolosamente riapre i battenti. Sorge sul terreno dove si ergeva una villa padronale in stile liberty, con parco, che costeggiava via Mazzini (siamo fra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 70): villa e parco spazzati via dalla febbre da condominio che serpeggiava all’epoca e del condominio ne sopporta tuttora fisicamente il peso il Capitol, trovandosi incastrato fra il primo piano e gli scantinati di un palazzo, con le uscite di sicurezza che si affacciano sui garage condominiali. Progettato sul finire degli anni 60, con oltre 600 posti a sedere, il Capitol allora assolveva alla voglia di cinema dell’epoca, quando il cinema italiano rastrellava premi e riconoscimenti in tutti i festival internazionali ed era famoso nel mondo, quando i canali televisivi erano solamente tre e rigidamente in bianco e nero, quando Pordenone aveva frotte di militari di leva che trascorrevano il tempo libero al cinema, riempiendo le sale cittadine e le tasche dei gestori. Ma eravamo al crepuscolo di un’epoca. I tempi cambiano in fretta e l’avvento delle televisioni private, verso la fine degli anni 70, crea un vortice di film, proposti a tutte le ore e su tutti i canali, che sconvolge l’intimo palinsesto dello spettatore medio, creando una indigeribile marmellata filmica. A quell’epoca prende poi piede la diffusione delle cassette Vhs con la conseguente visione casalinga dei film osé. Ecco quindi che la conversione del Capitol, nel frattempo, a cinema a luci rosse va a farsi benedire.


Quello che però segna la lenta fine della lunga resistenza del Capitol è la chiusura delle caserme a Pordenone. Una fedele e numerosa utenza che evapora in poco tempo. Fra la caduta del muro di Berlino nel novembre 1989 e la legge del 2004 sulla non obbligatorietà del servizio militare, il totale cambiamento dell’utenza cinematografica in città può definirsi compiuto. Dalla scomparsa negli anni 80 di Alfonso Tucci, appassionato e sanguigno gestore dei cinema pordenonesi, la conduzione del Capitol è sempre stata la medesima di tutti gli altri cinema in riva al Noncello, ovvero un imprenditore trevisano con molteplici interessi: dal mattone all’alberghiero, passando anche attraverso l’esercizio cinematografico. Quando la resa economica in questo settore si inaridisce non si pensa certo a investire, a adeguarsi ai tempi. Il declino così è lento ma inesorabile. Se prima servivano sale da 500, 600 e anche 800-1.000 posti, adesso bastano sale più piccole, ma più numerose, per accontentare i diversi gusti del pubblico. Il cinema monosala lentamente esce dal mercato senza che nessun imprenditore pensi a reinvestire i lauti guadagni fatti nei tempi d’oro. Poitiers, piccola cittadina di provincia nel centro della Francia, assimilabile per grandezza a Pordenone, già all’inizio degli anni 80 dispone di due multisale che si affacciano nella piazza principale: una a sei schermi e una a otto schermi. Una politica, quella francese, accorta e attenta al mutamento dei tempi, alle nuove esigenze. La natura meramente speculativa della nostra imprenditoria, invece, ha lasciato morire il cinematografo senza intervenire, spostando soltanto i suoi investimenti in settori più remunerativi. E, purtroppo, Pordenone non è sola in questo deprecabile cambiamento. Udine vive la stessa situazione assieme a molte altre città italiane.


Si plaude, dunque, dopo oltre dieci anni di chiusura, alla riapertura di questo luogo con un nuovo concept Capitol event hall dove trovano ospitalità musica, teatro-cabaret, cinema e altro ancora. Si plaude al coraggio imprenditoriale di questi giovani che si mettono in gioco. Non sarà semplice e nemmeno facile creare un’abitudine a un consumo culturale. I travasi di pubblico da una situazione all’altra non sono sempre automatici. Ristrutturare il Capitol richiede forti investimenti e spregiudicatezza nel frequentare territori «dove la mano dell’uomo non ha ancora messo piede», come recitava la voce fuori campo nei vecchi trailer. Legare cinema e cibo, con l’analogo successo ottenuto a Vittorio Veneto da un’osteria che proiettava settimanalmente sul muro uno spaghetti western mentre serviva ai tavoli un buon piatto di spaghetti, non sarà facile. Speriamo che Woody Allen con il suo “Io e Annie” riesca a invertire la tendenza. Ad maiora!


(1 – continua)


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