La Bottega del Borgo non riaprirà più: decisivo il lockdown

UDINE. Il concept del tutto nuovo, un’idea che forse non è stata capita fino in fondo dagli udinesi, qualche piccolo errore nella gestione dell’attività e poi il lungo periodo di chiusura causa Covid, che ha provocato lo strappo finale.
“La Bottega del Borgo” di via Grazzano, che metteva insieme la zona mescita di vini e bollicine e lo spazio macelleria con annessa proposta di carni pronta per essere cucinata e degustata al momento, ha chiuso i battenti dopo sei anni. Il titolare, Alessandro Cavassi, ne spiega, amareggiato, le ragioni.
«Nel 2014 ho chiuso la macelleria che gestivo sempre in via Grazzano, un’attività che funzionava molto bene, per misurarmi con questa nuova scommessa. Ho voluto proporre un format decisamente particolare, atipico per una realtà come Udine – racconta –. Forse un modello così nuovo ha creato un po’ di confusione nella clientela, molto radicata nel concetto di negozio tradizionale».
I primi anni le cose girano per il verso giusto, nonostante alcuni intoppi. «Penso in particolare alle chiusure della strada, per i lavori di realizzazione della nuova pavimentazione e della ciclabile. In effetti, siamo riusciti a mantenere un folle equilibrio.
Aver posizionato anche una pedana dove mettere nuovi posti a sedere aveva dato un valore aggiunto al luogo – aggiunge Cavassi –. Il problema, però, è stato un altro: la via è storica, ma non assomiglia alle altre vie del centro. Prendi via Poscolle: ci sono vetrine, negozi e locali, la gente la frequenta anche soltanto per una passeggiata. Via Grazzano non ha tutte queste opportunità, quindi chi veniva qui lo faceva perché voleva proprio raggiungere il mio negozio».
Alle carenze dal punto di vista “sociale”, si aggiungono i costi, importanti, a cui bisogna far fronte. «Tre dipendenti fissi, un affitto da 2 mila euro, luce, eccetera: non è cosa da poco», spiega Cavassi. Così quando è arrivata la pandemia, con la conseguente chiusura per tre mesi di gran parte delle attività commerciali, i conti hanno cominciato a stridere per davvero. «Prima del lockdown facevo 25/30 coperti a pranzo, dopo quei numeri non sono più tornati – ammette – così ho deciso e il 31 luglio ho chiuso».
L’imprenditore, però, non nasconde che i fattori negativi non sono solo esterni. «Anche io ho fatto degli errori, nella comunicazione e nella gestione delle risorse umane e mi assumo le mie responsabilità – conclude –. Sono davvero dispiaciuto per come è andata a finire».
Cavassi chiude con un ragionamento su quella che è stata la “sua” via per molto tempo. «L’Amministrazione, dopo il lockdown, ha fatto il possibile per rivitalizzare la città, il movimento c’è stato e più di così non si poteva – conclude –. Credo, però, che questa via vada rifondata completamente, sia dal punto di vista commerciale che sociale, con la creazione di unità abitative di pregio».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto








