Klaus, il designer che crea pezzi unici con legno e cuoio nel bosco di Tarcento

TARCENTO. Da piccolo, racconta, non riceveva giocattoli. Dal padre - appassionato di falegnameria - ha avuto in dono una volta una lima, un’altra un martello. Sempre e solo attrezzi. «A mio fratello, più grande di me, ha invece regalato un’ascia quando aveva appena 5 anni», dice, non nascondendo affatto quel pizzico d’invidia che aveva provato allora.
Lui è Klaus Lichtenegger, austriaco di Klagenfurt, classe 1977, in tasca una laurea in Ingegneria meccanica, nel cuore l’amore per l’Italia. In particolare per il Friuli, anzi per Coia di Tarcento dove ha deciso di stabilirsi dal 2013, assieme alla moglie Kelly, scrittrice statunitense al momento mamma a tempo pieno di Felix, 5 anni e Nino, 3.
In quella casa in mezzo al bosco - la strada comunale finisce laddove inizia la sua proprietà - non solo ci vive, ma ha anche dato vita al suo progetto.
Si chiama «One man handmade» ed è la bottega dove Klaus - artigiano-designer - crea pezzi unici, in particolare oggettistica per la casa e complementi d’arredo. I materiali prediletti sono legno, metallo e cuoio.
Spesso però la materia che dà forma alle sue opere - vendute in Italia e pure in Austria, Germania e Svizzera, oltre che a Parigi dove tempo addietro ha esposto suoi pezzi in una mostra collettiva assieme ad altri designers internazionali - è quella che Klaus recupera. Un po’ dappertutto.
Trasformandola in nuovi oggetti che ne valorizzano ogni singolo dettaglio, tanto che le irregolarità diventano spesso elementi originali delle sue creazioni. «Amo riciclare materiali poveri. Sono “onesti”, non fingono, ma fanno vedere tutta la loro storia».
Così, lastre di ferro - vanno bene anche se arrugginite -, legno che porta addosso i segni del tempo e mille altri elementi «scovati» dall’ingegnere-artigiano diventano tavoli, sedie, panche, armadi, cassettiere.
Accomunati dal design minimalista. Dove il tocco inconfondibile di Klaus è l’accuratezza del dettaglio e una lavorazione particolarmente rifinita. Insomma, niente spazio alla casualità, mi racconta nel suo laboratorio che dall’alto domina Tarcento e oltre.
Di fronte ci sono le sedie in metallo e cuoio - da lui cucito a mano con una serie di punti perfettamente allineati -, che sta completando e che, a giorni, saranno pronte per essere spedite in Toscana, dove ha avuto l’incarico per arredare una casa tutta in «stile Klaus». «Sto molto attento ai particolari», spiega. Lo definisce «il vizio della perfezione, in parte derivato dagli studi fatti».
Non c’è creazione, infatti, che alle spalle non abbia un dettagliatissimo progetto, mentre tornire, fresare, saldare sono abilità che ha acquisito all’università austriaca, dove gran spazio viene dato alla formazione in laboratorio. In parte, quel vizio, «è stato ereditato dalla famiglia».
In particolare dal padre Georg. Da lui - ingegnere per lunghi anni al lavoro in una miniera e pure appassionato d’arte - ha imparato «a fare» con il legno. «Insieme abbiamo costruito questa casa. Abbiamo cominciato tagliando la legna nel bosco. Poi l’abbiamo lasciata riposare per un paio d’anni e nel frattempo ci siamo dedicati alle parti in muratura».
L’abitazione è, infatti, quasi tutta in legno, i mobili pure. Suo papà l’ha voluta così. Fin da quando l’aveva solo immaginata, in un luogo chissà dove. «Mio padre, sempre chiuso sottoterra a lavorare, e non potendone più di tutta quella nebbia che si respira gran parte dell’anno a Klagenfurt, veniva spesso in Friuli “a cercare il sole”.
Poi un giorno, come ricorda, percorrendo la statale Pontebbana tra Artegna e Magnano in Riviera, ha alzato lo sguardo e intravisto un campanile in alto su una collina».
È stato così che ha trovato Coia. Con l’intenzione di sondare se in giro c’era una casa da poter acquistare per trascorrere il tempo libero, si è rivolto a un’agenzia. «Questa proprietà è la prima che ci hanno fatto vedere. C’era solo bosco».
Oggi all’inizio di quel bosco - tre ettari di terreno - ci sono la casa e il laboratorio di Klaus. Da lassù, nelle giornate di bel tempo, si vede il mare, e giù fino alla Croazia. ll luogo adatto per dar vita a fantasia ed estro. «Avevo 15 anni quando ho capito che la mia strada sarebbe stata quella di creare con le mani».
Per questo, dopo il liceo, ha optato per gli studi di ingegneria meccanica. «È stata la scelta giusta perché ho imparato a conoscere i materiali e a usare gli attrezzi».
Prima di buttarsi a capofitto nella realizzazione del suo sogno di ragazzino, «per raggiungere almeno un po’ di sicurezza economica che mi consentisse di avviare una mia bottega», ha lavorato per quattro anni nell’ufficio tecnico di un’importante azienda di Monaco di Baviera.
«Mi pesava tanto star seduto dietro a una scrivania e guardando dalla finestra invidiavo il giardiniere che stava all’aperto tutto il giorno», racconta.
Poi la scelta dell’Italia. Dopo un periodo trascorso in Toscana - quella che di lì a poco sarebbe diventata sua moglie, dall’America si era stabilita a Firenze -, «dove ho imparato anche a realizzare scarpe grazie a un amico di Siena che mi ha insegnato quest’arte», la decisione di trasferirsi a Coia per dedicarsi completamente all’artigianato.
«Non sono un falegname, non sono un fabbro, non sono un calzolaio. Ma ho imparato a fare tutto». E in quel tutto ci mette se stesso. «C’è un pezzo di me in ogni creazione», conferma. Per questo, confida, prova un po’ di dispiacere quando vende i suoi mobili.
«D’altra parte bisogna pur vivere». La soddisfazione più grande, aggiunge, è quando il cliente «capisce» quello che è stato creato. «Quando coglie le tue sensazioni, quello che sei riuscito a vedere prima che l’oggetto diventasse realtà sotto le tue mani». Ammette che il mondo del design non è facile. «È piuttosto competitivo».
Ma questo non lo spaventa. Perché si considera un «privilegiato». «Faccio il mestiere che mi piace. Non devo farmi pubblicità perché il lavoro, per fortuna, non manca. Per scelta faccio una vita semplice e riesco a ritagliare del tempo da dedicare alla mia famiglia. E vivo in un posto meraviglioso, dal quale non voglio andarmene». E nel quale vuol far crescere i suoi figli.
«In armonia con la natura». Per questo, spiega con entusiasmo, insieme con la moglie ha un sogno nel cassetto. «Trasformare la proprietà in una permacultura – spiega – , cioè in colture pluriennali caratterizzate da bassi consumi di energia fossile e impiego ridotto di lavoro umano».
Nel frattempo, però, ha già regalato a Felix, il figlio più grande, una sega. Perché imparare a usare bene le mani è ormai una tradizione della famiglia Lichtenegger «Che non va interrotta!».
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