«Io, Ovidio e quella passione per la poesia» Maria Chiara si è laureata con 110 e lode

la storia
Luana de Francisco
Con le sue raccolte di poesie, qualche anno fa, ci aveva regalato l’emozione di accostare l’orecchio agli spazi silenziosi del suo universo interiore. Ieri, fresca di alloro, Maria Chiara Coco ha aggiunto a quella gioia il piacere di un insegnamento: lei, affetta da sindrome di Down, ci ha dimostrato che la vita, per quanto dura possa essere, va affrontata e goduta. Con passione, volontà e la forza dell’amore di chi ci circonda.
È una storia che infonde speranza quella che esce dall’università di Udine, dove Maria Chiara, 27 anni, di Gorizia, ha conseguito la laurea triennale in Lettere, ottenendo peraltro il massimo dei voti, e dove ha già iniziato a seguire i corsi della Magistrale. «Intende continuare gli studi e sta approfondendo materie filologiche e di taglio archivistico», racconta con orgoglio mamma Renza, al suo fianco come “supporter” durante la discussione della tesi. Discussione che l’emergenza coronavirus ha imposto avvenisse in modalità on line e che la studentessa ha sostenuto in collegamento dalla propria abitazione.
Prima in regione a tagliare il traguardo della laurea, Maria Chiara è l’esempio più bello per chi, come lei, ha la sfortuna di partire svantaggiato. Bambini che, anche fatti adulti, per colmare l’assenza o il difetto del loro linguaggio, si affidano alla tecnica della comunicazione facilitata alfabetica. «Era molto emozionata – dice la madre –, nonostante partisse da una media di 107 punti. Io le faccio da assistente, ma francamente non riuscirei a eguagliarla: negli anni, ha maturato non soltanto una conoscenza molto vasta della sua materia, ma anche una capacità straordinaria nel ricordare e rielaborare ciò che apprende, arrivando fino all’essenza delle cose».
Non a caso, nell’introduzione della tesi, intitolata ”Priamo e Tisbe in Ovidio: immagini e parole”, è lei stessa a riferire del proprio piacere per lo studio. «Iluminazione, spazio arioso e orizzonti nuovi: così ne parlava già quando, nel 2016, uscì “La chiave nascosta”, raccolta di composizioni edita da Prometheus nella collana di Poesia contemporanea, dopo l’esordio del 2009 con “La camera dei segreti”.
Ed è proprio alla scrittura che Maria Chiara vuole continuare a dedicarsi. Ieri, ad accompagnarla al suo primo traguardo accademico c’erano il relatore Matteo Cadario, docente di Archeologia classica, e il correlatore Marco Fucecchi, docente di Letteratura latina, entrambi del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale. «La tesi di Maria Chiara Coco testimonia il suo sincero entusiasmo per il mito, l’iconografia e la cultura classica», conferma Cadario. Durante il suo percorso di studi, era stata affiancata dal Servizio di assistenza agli studenti disabili e con disturbi specifici dell’apprendimento dell’Area servizi per gli studenti dell’Ateneo. Un’attenzione cui la madre Renza riserva un plauso particolare, «memore – spiega – delle difficoltà che invece incontrammo alle superiori, quando non le fu messo a disposizione ciò che le serviva per studiare».
Ma se Maria Chiara è riuscita a farcela il merito è prima di tutto di chi l’ha cresciuta e amata. Ecco perché fa ancora più male sapere che a festeggiarla, ieri, mancava proprio una parte della sua famiglia. «Ai miei cari nonni e al mio amatissimo papà Lino che non sono più qui – ha scritto nella tesi –, dopo aver creduto in me e avermi sempre sostenuta con il loro immenso affetto. A loro dedico questo mio lavoro, certa che mi staranno accanto leggeri come soffio di vento».
Invitata a raccontare la propria storia, in occasione della pubblicazione del suo secondo libro, Maria Chiara aveva offerto una testimonianza così profonda, da finire dritta nel sito dell’Ordine nazionale dei medici. «Fin da piccola mi sono resa conto che la mia mente era efficiente – raccontava –. Ma avevo un problema di funzionamento. Mi sentivo molto soffocata dalla massa di emozioni e stimoli sensoriali». E ancora. «Molte idee sbagliate circolano sulle persone con trisomia 21, perché conta più l’apparenza. Siamo sicuri che queste persone abbiano un deficit cognitivo? L’atteggiamento più costruttivo è la via del cambiamento. Il mettersi in gioco assieme e dare fiducia». —
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