Intellettuale lucido, definì un bluff la Jugoslavia di Tito
TRIESTE. Secondo lui la Jugoslavia di Tito era un bluff, un’accozzaglia di “esperimenti territoriali” mascherata da impero comunista tenuta insieme dal rigido filo rosso dell’Ozna, la famigerata polizia segreta jugoslava. Come storico non le mandava certo a dire William Klinger, assassinato all’Astoria Park di New York.
Considerato negli ambienti della ricerca storiografica un “free-lance”, anzi un vero e proprio cane sciolto, Klinger era abituato a guardare oltre le ideologie e le tesi preconfezionate, deciso piuttosto a dare la caccia a fonti inedite grazie alla sua straordinaria capacità poliglotta.
Nato nel 1972 a Fiume da famiglia croata originaria di Pakrac, nel cuore della Slavonia, Klinger aveva frequentato il liceo italiano di Fiume, per poi laurearsi a in Storia a Trieste nel 1997 con lode. Un master alla Central european university di Budapest e un dottorato all’European university institute di Firenze completarono la sua formazione accademica.
Parlava correntemente otto lingue, fra cui il russo e l’ungherese, un primato che gli consentiva l’accesso ad archivi e fonti primarie di tutta l’area balcanica e del Centro Europa. Klinger mostrava tutti i crismi del vero intellettuale mitteleuropeo, anche se per sbarcare il lunario era costretto a lavorare come casellante in autostrada. Presenza fissa al Festival èStoria di Gorizia, abitava con la famiglia a Gradisca d’Isonzo, ma continuava a collaborare con il Centro ricerche storiche di Rovigno, in Istria.
E proprio per la rivista del centro aveva da poco consegnato due nuovi saggi su Tito e sulle implicazioni politico-strategiche del suo impero.
Eclettico, vulcanico, anticonformista, Klinger - che non a caso si era attirato il plauso e le simpatie di un altro irregolare come Giampaolo Pansa - si era specializzato sulle vicende del confine fra le due guerre, «ponendo particolare attenzione alla Jugoslavia di Tito», ricorda lo storico Roberto Spazzali, che ha collaborato con Klinger per la stesura del suo primo libro, “Germania e Fiume.
La questione fiumana della diplomazia tedesca (1921-1924), pubblicato dalla Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia. «Klinger - spiega Spazzali - aveva indagato a fondo le vicende dell’Ozna, la polizia segreta jugoslava, mettendo in luce nuovi aspetti del’organizzazione e del suo modo d’agire».
Perciò il suo secondo libro, “Il terrore del popolo: storia dell’Ozna, la polizia politica di Tito”, pubblicato dalla Italo Svevo nel 2012, aveva provocato più di qualche malumore. «William era dotato di un’intelligenza brillante che gli permetteva di muoversi a largo raggio su un orizzonte internazionale», sottolinea il ricercatore Patrick Karlsen.
«Fu lui - continua Karlsen - a far tradurre uno studioso come Geoffery Swain, dell’università di Glagow, uno dei maggiori conoscitori delle rivoluzioni comuniste e autore di un celebre biografia di Tito».
«William - spiega Karlsen - amava attingere a fonti non ortodosse, e il suo libro sull’Ozna rimane l’unico così esaustivo e in lingua italiana». «Sapeva scandagliare in profondità gli archivi, come quelli dello stesso Tito a Belgrado - aggiunge Giovanni Radossi, direttore del Centro ricerche storiche di Rovigno -, e avanzava ipotesi basate sui fatti in modo coraggioso, ma con metodo scientificamente rigoroso».
Anche le sue prese di posizione su metodi storiografici erano nette. In un’intervista rilasciata alla “Voce” di Fiume puntò il dito contro la “storiografia croata post 1945” che, affermò, aveva «metodicamente evitato di trattare qualsiasi tema controverso, preferendo occuparsi di personaggi strani e gruppi marginali».
Ma le critiche non risparmiavano neppure la storiografia accademica italiana, accusata di tenersi alla larga dalle vicende del comunismo «preferendo trastullarsi con la storia del movimento operaio».
Netta anche la sua posizione sulla repressione jugoslava nella Venezia Giulia, cui Klinger negava la forma di “pulizia etnica”. «Sì - interviene Diego Redivo, storico di riferimento della Lega Nazionale di Trieste - i suoi studi davano spesso fastidio».
«William - insiste Redivo - era una persona vulcanica, pirotecnica, e uno studioso altrettanto impegnato nella ricerca della verità; per questo certa storiografia nostalgica o ideologica bollava i suoi studi come “bufale”».
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