Insegnante friulana bloccata a Hong Kong: «Vivo chiusa in casa con i miei bambini»

Chiusi in casa per evitare gli scontri di piazza sedati daI gas lacrimogeni, fino a pochi mesi fa. E ora che la protesta è finita, è scattato l’isolamento a causa dell’emergenza coronavirus che sta dividendo una famiglia friulana fra Hong Kong – dove vivono la madre e i due figli – e New York dove si trova il padre.
È la situazione che si trova a dover fronteggiare Daniela Cecutti, 49enne udinese già insegnante alla scuola italiana del consolato e da un anno docente di italiano all’università Hang Seng, bloccata a Hong Kong con i suoi due figli, tutti e due in età scolare, che ormai da settimane sono barricati nel loro appartamento e seguono le lezioni scolastiche online.
«Da quando è scoppiato l’allarme per l’epidemia viviamo chiusi in casa – ammette – generalmente esco fuori per fare la spesa con la mascherina e il disinfettante al seguito, come fanno tutti, e senza usare i mezzi pubblici».
Laureata in Conservazione dei beni culturali, quattro anni fa ha deciso di trasferirsi a Hong Kong con i figli al seguito del marito Arturo Agolzer, ingegnere gestionale originario di Pontebba cui era stato dato l’incarico di gestire la costruzione della stazione dei treni che collega Hong Kong alla Cina. Ma un anno fa si è dovuto trasferire a New York per un altro incarico e, ora, riunire la famiglia diventa sempre più difficile. L’ultima vacanza insieme, a Udine, risale a Natale.
A quell’epoca, Hong Kong dopo la lunga stagione di proteste in piazza, sembrava tornata alla normalità e per questo Daniela Cecutti aveva deciso di ripartire, e altrettanto aveva fatto il marito, impegnato a New York dal lavoro. Si erano dati appuntamento a breve. Ma non avevano fatto i conti con l’emergenza Coronavirus che ha scandito l’avvio dell’anno del Topo.
«Ormai in giro c’è poca gente – lamenta Cecutti –. L’Educational bureau ha chiuso le scuole, per ora fino al primo marzo, così come feste, manifestazioni, fiere, centri sportivi. Tutto è sospeso. La scuola ha attivato l’home learning. Il figlio piccolo riceve le lezioni e i compiti quotidianamente, e il più grande segue le lezioni in videoconferenza secondo un normale orario scolastico, dalle 8 alle 15.
Lunghissime le chiamate con i compagni di classe, compiti e consulenze matematiche fra amici arrivano via whatsapp. Diciamo che l’animo umano si adatta alle situazioni come meglio può e che questi ragazzi sono resilienti, davvero bravi, perché sanno andare oltre agli ostacoli e concentrarsi sulla positività.
Naturalmente, i momenti d’ansia, paura, disagio, incertezza per quello che potrebbe accadere si alternano in un’altalena a quelli razionali durante i quali dico a me stessa che la vita ci mette alla prova in continuazione, che non posso permettermi alcun cedimento. E ogni sera, prima di spegnere la luce, ripeto a me stessa che è una situazione temporanea e che passerà».
Fino a pochi mesi fa Hong Kong era stata straziata da una serie di manifestazioni iniziate il 15 marzo 2019 contro il disegno di legge sull’estradizione di latitanti verso paesi dove non vi sono accordi di estradizione. Il governo cinese centrale ha indicato di vedere le proteste come la “peggiore crisi di Hong Kong” dopo il passaggio di sovranità del 1997. Gli scontri hanno provocato due morti, alcuni suicidi e centinaia di arresti.
«Iniziate in maniera pacifica con immensi cortei, slogan e bandiere, le proteste presero abbastanza rapidamente una piega violenta, culminata con l’occupazione del Politecnico a un centinaio di metri da casa nostra – racconta Cecutti – talvolta era una vera e propria guerriglia urbana e io scelsi la strada del riparo in casa in un appartamento piccolissimo con tante cose ammassate, ma pur sempre un luogo sicuro per me e per i ragazzi».
L’insegnante friulana ricorda un giorno in cui l’Educational bureau chiuse le scuole e lei uscì in fretta e furia per raggiungere i figli: «Fuori era un disastro, bidoni della spazzatura rovesciati a terra, semafori distesi sull’asfalto, griglie metalliche e mattoni ovunque non permettevano passaggio alcuno – ricorda – salii la scala che collega il campus universitario con la fermata dell’autobus e un nutrito gruppo di ragazzi tutti incappucciati mi superò. La rabbia usciva dai loro volti completamente coperti».
Di quel giorno rammenta la paura e l’arrivo della polizia che disperse i ragazzi con i lacrimogeni. Mesi di ansia e timori finalmente placati, fino all’arrivo della nuova emergenza.
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