In tribunale a Udine Sgarbi show per il falso Renoir

UDINE. «I carabinieri mi avevano chiesto di fare da “esca” e io avevo accettato. E quando, di lì a poco, mi furono mostrati quei due quadri a Tarvisio, mi resi subito conto di trovarmi di fronte ad altrettanti falsi. Dei quali almeno uno, per giunta, certamente rubato. Eppure, non credo che gli imputati siano dei criminali. Piuttosto, direi due sprovveduti completamente all’oscuro della provenienza furtiva di quello che avevano creduto essere un Renoir».
Parole e musica di Vittorio Sgarbi, il noto critico d’arte ed ex sottosegretario ai Beni culturali intervenuto ieri, a Udine, nel processo a carico di un tarvisiano e di due riminesi accusati di concorso in ricettazione di un busto di bronzo e di due tele che avevano cercato - e prima ancora sperato - di attribuire a Renoir e Manet.
Con il suo eloquio come sempre ricercato e spigliato e con la franchezza che lo contraddistingue, Sgarbi ha proposto al giudice monocratico Lorenzo Massarelli e a quanti, alle 9 di ieri, si trovavano nell’aula C del tribunale penale, non soltanto la ricostruzione dei fatti di cui era stato testimone, ma anche una personale valutazione dei lavori finiti al centro dell’inchiesta, infarcendo il tutto di note di colore e arguzie che hanno incontrato la simpatia tanto della parte accusatoria, quanto delle stesse difese.
Poi, dopo un’ora buona di risposte e approfondimenti, il teste si è congedato, spostandosi al vicino bar con «la bella cancelliera» e con «l’avvocatessa con i capelli rossi» che, poco prima, gli si era presentata come una sua grande ammiratrice. «Finito il processo - ha confessato Sgarbi, da consumato gentiluomo -, mi sono fermato ancora qualche minuto, per ammirare le bellezze locali». Unico rammarico, il mancato faccia a faccia con il procuratore aggiunto Raffaele Tito.
Cioè con il magistrato che, qualche anno fa, riuscì a scucirgli la bellezza di oltre 110 mila euro, quale risarcimento nella causa per diffamazione che gli aveva scatenato contro per alcune puntate di “Sgarbi quotidiani” trasmesse su Canale 5 nel lontano 1997. «Mi hanno riferito che era in tribunale - ha detto Sgarbi - e sono andato a cercarlo. Ma purtroppo non l’ho trovato. Quella condanna era stata ingiusta, anche perchè io mi ero limitato a leggere in tv notizie apparse sui quotidiani. L’avrei comunque visto volentieri».
La vicenda per la quale il critico d’arte era stato convocato in qualità di teste della pubblica accusa - rappresentata ieri in aula dal pm onorario Marzia Gaspardis - è quella che, nel 2008, aveva visto finire nei guai Francesco Attisani, 65 anni, Amedea Setti, 62, e Aniello Ambrosio, 56. In possesso di due quadri a firma, a loro dire, di Renoir e Manet, i tre avevano contatto Sgarbi per chiedergli una perizia. Il caso non aveva tardato a destare l’attenzione dei carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico di Roma, che avevano proposto all’ex sottosegretario di Forza Italia di aiutarli a chiarire i contorni della vicenda e, poi anche, a incastrarne i protagonisti.
«A contattarmi era stata una signora che diceva di avermi conosciuto anni prima e che si era presentata come “Dea” - ha ricordato il teste -. Sono stato al gioco e ho accettato di incontrarli. Fiutando forse qualcosa di strano, però, avevano annullato il primo appuntamento, che avrebbe dovuto tenersi a Caorle. Il secondo, nell’agosto del 2008, fu confermato e si tenne all’hotel “Il cervo” di Tarvisio». Ed è lì che avvenne il blitz dei carabinieri, con l’arresto dei presunti ricettatori.
«Quando mi mostrarono i dipinti - ha continuato -, mi accorsi subito che si trattava di due falsi. Croste o poco più, acquistate al mercatino di Porta Portese o qualcosa di simile. Glielo dissi e subito dopo entrarono in scena i carabinieri per la cattura». Le indagini avrebbero rivelato poi che il presunto Renoir, raffigurante dei bagnanti, era stato rubato nel 1975 a Milano. Del furto del falso Manet, invece, non si è mai avuto riscontro.
«L’avevo pensato allora e lo ripeto adesso - ha detto Sgarbi -: a mio avviso, non si trattava di gente con una vocazione criminale, ma piuttosto di persone molto modeste e che non avevano la consapevolezza di avere per le mani un quadro rubato». Parole, va da sè, quanto mai apprezzate dal collegio difensivo, rappresentato dagli avvocati Giuseppe Salvatorelli (per Attisani), Gabriele Bano e Cesare Brancaleoni (per Setti) e Falzarano e Spicer (per Ambrosio), questi ultimi assenti e sostituiti da Mario Occhialini.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto