Il turnover delle ragazze, da operaie sfruttate a schiave del sesso

Turni di sedici ore. Massimo due mesi e poi via in altre città. Venivano dalle pelletterie cinesi a Prato

Scantinati collegati a negozi attraverso botole. Odore di pelle e di sudore. Pareti senza orologi e finestre, turni infiniti. Prato, Toscana, Italia, ma delle cartoline del turismo nemmeno l’ombra. Lavoro duro per le figlie dell’Oriente, ci sono borse da cucire, marchi del made in Italy da imitare, un’industria clandestina da mandare avanti.

Fino al giorno in cui basta, si cambia vita. O almeno si crede di poterlo fare.

Il viaggio finisce a Pordenone, Friuli Venezia Giulia. Via Cappuccini, sotto la scintillante nuova sede del Confidi, e Zoppola, lungo la Pontebbana, a due passi dall’Emisfero, dal multisala Uci e dalle sale giochi, tempi del divertimento moderno.

Realtà vicinissime, ma lontane come miraggi. Per loro, per le ragazze cinesi, i turni massacranti non cambiano: sedici ore al servizio dei clienti. Li chiamano massaggi ma loro non sono qualificate per farli. Nessuno gliel’ha mai nemmeno insegnato. Sono, invece, capaci di regalare quel piacere che a loro la vita ha negato. E non sarebbe nemmeno reato, e potrebbe continuare così per sempre, nel civilissimo Bel Paese che le ha accolte, se non fosse per quel viavai dei clienti, indigesto ai residenti, e per quegli annunci sui giornali specializzati.

Sorrisi, ammiccamenti, paradisi a portata di pausa pranzo, notti brave con aperture non stop. Niente contatti con l’esterno, cene frugali e qualche ora di sonno in appartamenti attigui al luogo di lavoro.

Si telefonava, si prendeva appuntamento, si conoscevano persone che venivano per una ragione diversa dalla ragione sociale della casa.

E poi via ancora, in un’altra città, dopo una permanenza di un mese, massimo due. Soldatine dell’esercito dello squallore che ogni giorno resiste, nella trincea dei peccati inconfessabili degli italiani bene.

«Si sapeva, tutto scontato» si dirà nei bar. E poi si continuerà a fare come prima. «Un massaggio, grazie». Fino al prossimo blitz.

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