Il terremoto devastò Lusevera, Pers non fu più ricostruita

Nel paese le vittime furono undici. Il ricordo del sindaco Sinicco: andai a piedi nelle frazioni a vedere della mia gente.

Il sindaco di Lusevera non abitava nel comune che amministrava. Sinicco allora, come tutt’ora del resto, viveva a Tavagnacco. La sera del 6 maggio, dopo la scossa avvertita anche in pianura, il suo primo pensiero fu quello di andare a vedere cosa era successo a Lusevera.

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Gemona del Friuli 05 maggio 2016 Panoramiche della citta' simbolo del Terremoto del Friuli alla vigilia del suo 40¡ anniversario. Copyright Foto Petrussi / Ferraro Simone

Caricò moglie e figli in auto e partì. Mano a mano che proseguiva si rendeva conto che camminava verso la distruzione. «Da Tarcento la strada statale sembrava bombardata», racconta convinto che a quarant’anni di distanza le parole non rendano quello che vide quella notte con i suoi occhi.

A Zomeais era impossibile proseguire, la quantità di materiale portato a valle dalle frane ostruiva le vie di accesso. «Lasciai l’auto in uno spiazzo con a bordo la mia famiglia - aggiunge - e proseguii a piedi». Quelli furono i sette chilometri più lunghi e più drammatici della sua vita.

Sinicco arrivò nella frazione di Vedronza dove aveva sede il municipio almeno un’ora più tardi, vide la gente terrorizzata che dalle case gravemente lesionate si era riversata nella piazza, vicino alla trattoria del paese. «Chiesi notizie delle altre frazioni, sapevano che a Cesariis e Pers era accaduto il peggio. Erano tutte devastati e molte persone avevano perso la vita».

Il sindaco non perse neppure un attimo, prese l’auto del comune e si diresse a Pradielis, nella caserma dei carabinieri. Voleva assolutamente parlare con gli uomini dell’Arma, voleva sapere quanti residenti mancavano all’appello. I carabinieri gli dissero che l’unica frazione di cui non avevano ancora notizie era Musi.

Ancora una volta il sindaco raccolse le forze e si diresse verso quel luogo, ma sopra Pradielis trovò nuovamente la strada franata. Proseguì a piedi e trovò tutti gli abitanti nelle campagne. Sentì i lamenti di una donna ferita sotto le macerie della casa semidistrutta. Organizzò i soccorsi e ripartì.

O meglio cercò una strada alternativa per proseguire, la trovò e arrivò a Micottis e a Villanova. «Anche qui - ricorda - c’era la gente radunata al centro del paese, una donna incinta non sapeva dove andare, temeva per la salute del suo bambino». Sinicco imboccò una strada agricola arrivò sul Bernadia. Riuscì a transitare dopo aver spostato con delle grosse funi i grandi massi che ostruirono la strada.

La situazione era drammatica, oltre ai danni, ai feriti e alle vittime si sommava l’isolamento che rendeva più difficili i soccorsi. Ecco perché il sindaco scese a Tarcento da dove telefonò in prefettura e a palazzo Belgrado a Udine, sede della Provincia. Aveva bisogno di mezzi meccanici per aprire le strade, la gente non poteva stare in quelle condizioni.

Quella fu la notte più lunga della sua vita. Venne giorno e il sindaco tornò in municipio. Con la luce la situazione era ancora più drammatica, quello che il buio aveva smorzato ora emergeva in tutta la sua drammacità. La prima cosa che fece fu chiedere alla Sip di creare una deviazione telefonica in ogni paese, la gente doveva comunicare con i parenti all’estero che avevano diritto di sapere come stavano le famiglie nella zona terremotata e, allo stesso modo, doveva essere in grado di chiedere aiuto.

Forte di questa convinzione, Sinicco prese due apparecchi telefonici negli uffici del Comune e li collegò all’esterno: «Li spostai nella piazzetta dove creai una postazione volante per comunicare con le frazioni». Il sindaco non accettava di non avere notizie dai luoghi più lontani. Fu in quel contesto che si crearono i Comitati di frazione trasformati poi nei Comitati dalle tendopoli.

Il momento più drammatico fu quello dell’identificazione dei morti. Le salme vennero trasferite tutte nel cimitero di Lusevera e qui i consiglieri comunali delle varie frazioni si recarono a dare un nome ai morti. Fu straziante. Iniziò così la gestione dell’emergenza.

A Lusevera le prime tende militari arrivano sabato 8 maggio e in ogni frazione fu allestita una tendopoli. Furono allestite pure le cucine da campo che rimasero in funzione pochi giorni, il tempo necessario per consentire ai militari della caserma di Tarcento di organizzare la consegna dei pasti anche nelle zone più impervie.
«Il problema principale - insiste l’ex sindaco - era la strada provinciale che da Tarcento andava verso la vallata.

Gli smottamenti erano continui e un Caterpillar messo a disposizione dalla Provincia e sempre disponibile, interveniva ripetutamente per renderla transitabile». Soltanto domenica 9 maggio, come scrisse Fulvio Cabrini sulle pagine del Messaggero Veneto, «i militari riuscirono a fornire alla popolazione i mezzi di prima necessità, acqua, medicinali e viveri».

A Lusevera tutti i 160 abitanti (complessivamente nel comune se ne contavano un migliaio) dormivano o nelle tende o nei ripari di fortuna. «Sui volti - scriveva Cabrini - l’espressione di chi non ce la fa più». Da questi luoghi partì un appello: servivano medicinali, in particolare cardiotonici, disinfettanti e bombole d’ossigeno.

A lanciare l’sos fu Mario Botta, uno dei medici arrivati dall’ospedale maggiore di Milano e impegnati nella vaccinazione della popolazione contro il tifo. «Senza i farmaci - spiegò il medico - non possiamo assicurare a questa povera gente, per lo più anziana, il minimo indispensabile».

Senza assumere quel tipo di farmaci, infatti, alcuni abitanti non potevano sottoporsi alle vaccinazione e i sanitari temevano di non riuscire a prevenire le malattie.

Tre giorni dopo il terremoto a Pradielis non era ancora stata ripristinata la corrente elettrica. La gente, però, sembrava non accorgersene, era troppo impegnata a recuperare quel poco che rimaneva fra le macerie. Il cronista che la domenica successiva al sisma arrivò a Musi descrisse la strada piena di «fenditure che assomigliano a voragini e attraverso le quali si nota, 200 metri più sotto, il Torre, un rigagnolo».

Pioveva quella domenica e Musi sembrava inghiottita per sempre. «Dal campanile e da qualche muro perimetrale - scriveva sempre Cabrini - si intuisce che qualcuno ci abitava».

Analoga la cronaca di Enzo Lucchi de “Il Giorno”: «A Lusevera - scriveva riportando le parole di un caporale - la montagna ha giocato a bocce con il paese già devastato, adesso si passa a malapena ma una frana si è messa di mezzo e 60 persone, fra vecchi e bambini, devono essere portai via con la jeep, li sistemo a Buttrio, nella Bassa».

Questo accedeva il 15 maggio. Da quelle zone i soccorritori chiedevano filo di ferro, pinze e martelli perché tutto era rimasto sotto le macerie. Anche gli attrezzi da lavoro. Quel giorno Lucchi non riuscì ad arrivare a Lusevera e si fermò a Pradielis. Descrisse la tendopoli provvisoria dove avevano trovato rifugio 500 persone.

Da questi paesi in molti erano emigrati all’estero in cerca di lavoro e in quelle ore tornavano a verificare le condizioni dei parenti e delle case che avevano lasciato alcuni mesi prima. «Sono arrivati i parenti dall’estero - si legge sulle pagine de “Il Giorno – bisogna trovare un posto e un pasto caldo anche per loro».

E ancora: «Il cataclisma di questa notte - aggiungeva Lucchi facendo riferimento alle forti piogge che mettevano a rischio le tendopoli - ha fatto capire che si deve spostare il paese di tela: tanto di qui non si muovono perché lo vogliono rifare di pietra prima dell’inverno».

Uno dei problemi era proprio la ricostruzione dei paesi nei luoghi di sempre. «A Pers - conferma l’ex sindaco - la viabilità era molto precaria e non ci consentì di ricostruire le case distrutte». Nel 1976 a Pers abitavano solo sette famiglie e non fu difficile per il sindaco convincerle a spostarsi.

«Era già una frazione spopolata, alcuni nuclei si sono spostati a Cesariis altri a Pradielis. Dal punto di vista geologico era molto difficile poter ricostruire in quel luogo». E se il terremoto cancellò Pers, lo stesso non si può affermare per Lusevera, Pradielis e Cesariis diventate oggetto di piani particolareggiati che diedero la possibilità al Comune e ai privati di rifare i luoghi di sempre.

Anche nel comune di Lusevera arrivarono aiuti da tutto il mondo. Ai piloti della Formula Uno si unirono la Provincia e il Comune di Modena con la scuola elementare prefabbricata. «Aprì regolarmente l’1 ottobre, fu il primo intervento realizzato e a collaudarlo ci pensò il terremoto del 1976».

Sinicco si sofferma sulle scosse di settembre perché qui come altrove demolirono ogni speranza di rinascita. La gente partì, con quel che era rimasto in piedi il 6 maggio, crollò anche lo slogan “dalle tende alle case”.

«Lusevera era gemellata con Piacenza e dopo le scosse dell’11 settembre, molti anziani di Pradielis furono accolti nell’istituto Alberoni. I nonni di Musi, invece, trovarono alloggio in una casa di riposo a Caorle. Le famiglie rimaste salirono sui pullman diretti a Lignano certe che a primavera sarebbero tornate in quelle vallate.

Intanto proseguiva l’allestimento delle case prefabbricate, molte (43) le aveva donate la Federazione jugoslava che non aveva certo legato il suo intervento al colore politico che, in quel periodo, governava a Lusevera. Il sindaco Sinicco, infatti, guidava un esecutivo democristiano che restò in carica fino al 1979. Sinicco venne eletto presidente della comunità Valli del Torre e restò in giunta con la delega ai Lavori pubblici seguendo, in primis, la ricostruzione.
 

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