IL SOGNO DI SAVORGNAN E I NAVIGANTI DEL LEDRA

di PAOLO MEDEOSSI
I veneziani avranno mille difetti, ma in due cose sono imbattibili, perché sanno fare canali e piazze. E se qualcuno avesse ascoltato Giulio Savorgnan, che verso la fine del Cinquecento a 82 anni era il Soprintendente generale delle fortezze, Udine adesso sarebbe più suggestiva disponendo anche di un “lungofiume”. La sua fissazione era di realizzare un canale navigabile che convogliando le acque del Ledra e in parte quelle del Tagliamento raggiungesse Udine e poi proseguisse fino al mare, passando per Palmanova, gioiello della Serenissima. In parole povere, se fosse andata a buon fine l'iniziativa, nell'attuale viale Ledra ci sarebbe un molo e da lì si potrebbe partire in barca per arrivare nell'Adriatico dopo una gita lungo la pianura friulana.
A dir la verità, la prima idea del canale navigabile, avveniristica per quei tempi, spuntò nel Quattrocento e venne accarezzata da tutti i Luogotenenti che Venezia avvicendò in castello a Udine, ma a ostacolarli ci si misero (come capita sempre in Friuli) in tanti, a partire dai Comuni di Gemona, Latisana e Portogruaro che temevano rovinose ricadute sui loro affari mentre i nobili feudatari si opposero essendo aggrappati ai privilegi e alle rendite agricole che li facevano guardare con sospetto a ogni pur minima modifica dello status quo.
Così l'idea del canale navigabile rimase a livello teorico anche se nel 1666 Alvise Foscari, luogotenente di turno, speranzoso di ottenere gloria e prestigio, incaricò il mago veneziano delle acque, un certo Giuseppe Benoni, affinchè redigesse un progetto per un canale che, derivato dal Tagliamento a valle di Osoppo, doveva raggiungere il fiume Ledra e, dopo aver usufruito del letto del Corno fino a Coseano, avrebbe puntato su Nogaredo di Prato e su Udine. Impinguato dalla roggia di Palma, quella che scende da Beivars, sarebbe quindi arrivato a Palmanova e attraverso il Taglio sceso fino a Muscoli confluendo infine nell'Ausa. Il preventivo dell'opera, 200 mila ducati, gelò gli intenti e da quel momento gli ulteriori progetti sfornati periodicamente dalla Serenissima riguardarono il tratto sotto Udine, nell'illusione che fosse sufficiente per la navigazione la sola acqua delle rogge derivate dal Torre.
Il problema riemerse nell'Ottocento, quando il Friuli si trovava in forte crisi economica e sociale. E così il professor Giobatta Bassi, docente di matematica, ma anche ingegnere e architetto, tirò di nuovo fuori la trovata di Benoni. Non lo rinchiusero in manicomio, ma quasi. L'idea era di deviare sul nuovo canale le zattere e le barche che affrontavano il rischioso viaggio sul Tagliamento. In tal modo Udine avrebbe potuto ricevere il ferro e il carbone dalla Carinzia, oltre che il legname dalla Carnia e ogni tipo di rifornimento dal Nord. La gestazione del progetto fu lentissima e quando il Friuli venne annesso all’Italia la palla passò a quel galantuomo di Quintino Sella, commissario del re. Alla fine una soluzione fu trovata, riduttiva certo, ma con risvolti pratici. E ciò che saltò fuori venne ribattezzato il “piccolo Ledra”, in quanto fece nascere un canale non più navigabile, ma al servizio delle esigenze industriali di Udine e delle bonifiche. Nacque così il consorzio Ledra Tagliamento e il 5 giugno 1881, quindi 130 anni fa, si festeggiò l'arrivo dell'acqua a porta San Lazzaro. Ma (come sempre) scoppiarono le polemiche per i costi, quasi raddoppiati rispetto al preventivo.
Questa storia, raccontata da Antonio De Cillia nel libro I fiumi del Friuli Venezia Giulia, edito da Gaspari nel 2000, causò mille altre tribolazioni e lascia adesso a noi contemporanei il rammarico di non poter navigare dalla città al mare. Ma non è da escludere che nell'euforia automobilistica degli anni ’50, quando si coprirono in fretta le rogge per allargare le strade, qualcuno a Udine avrebbe fatto gettare colate di asfalto anche sul porticciolo di viale Ledra.
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