Il rito dei Rammstein: fuoco e rock dissacrante Il concerto/ FOTO

CODROIPO. Il rito dei Rammstein, tra fuoco e fiamme, tra metal ed elettronica. Villa Manin. Ieri sera. Ogni concerto dell’industrial metal band tedesca, che ha calamitato a Codroipo diecimila supporter, in gran parte provenienti da Austria e Germania, ma anche da Slovenia e Croazia, è una specie di liturgia, che si consuma ogni volta con le stesse formule e gli stessi ingredienti, ma sempre con grande energia ed entusiasmo, sia da parte dei fans che di Till Lindemann e compagni.
Lo show di Passariano non ha riservato sorprese, è stato messo in scena alla perfezione come sempre, mescolando spettacolarità e un sound potentissimo. Un’ora e mezza di sound forte, che ha rispettato le previsioni della vigilia: scaletta, esibizione, ma anche nell’adrenalina della gioventù. Circa un migliaio se ne stavano in fila fin dalle prime ore del mattino; gli altri sono arrivati con comodo. Massiccia la presenza austriaca e tedesca, si diceva, la metà della quale iscritta ai fans club.
Tanti anche gli appassionati regionali, tra cui anche Giovanni Pigani, titolare dell’Irish Pub The Bluck Stuff di Udine. La scorsa settimana Giò aveva organizzato una serata indimenticabile per omaggiare una delle sue band preferite; ieri ha predisposto uno speciale menù per i ragazzi di ritorno dal concerto: panini e pizza dal sapore particolarmente aggressivo, ciascuno dedicato a una canzone famosa della band di Till Lindemann (Feuer Frei, Reise Reise, Pussy, Keine Lust, Rammlied). Originalissima anche la Rammstein-Ape di un fan, che ha dipinto il suo mezzo con i colori della bandiera tedesca, personalizzandola poi con il nome della band tedesca.
L’attesa febbrile è stata spezzata dai danesi Volbeat, molto apprezzati in Europa.
Poi, finalmente, è iniziato il concerto dei Rammstein. Una Villa Manin così carica e così “cattiva” non la si vedeva dal concerto degli Iron Maiden, che si è tenuto nell’agosto 2010. Nel prato della villa dogale si respirava un’atmosfera veramente adrenalinica, che solo il popolo rock metal sa creare.
Lo spettacolo dei Rammstein, sostanzialmente lo stesso già proposto a Bologna e Roma, si è aperto con un sipario riproducente un muro di pietra (che fa evidente riferimento al nome della band, composto dalle due parole ramm e stein, la prima in similitudine con il verbo rammen, che significa urtare con violenza, la seconda- Stein- che significa pietra); sono seguiti un botto clamoroso e fuochi artificiali. Poi sono comparsi i Rammstein, decisi a mettere simbolicamente a fuoco e fiamme anche Villa Manin.
Lo show è iniziato con Ich tu dir weh (Ti faccio male), brano dal testo piuttosto controverso, visto il preciso riferimento al piacere nel provocare e subire dolore. Ma i fans dei Rammstein, così come la band stessa, hanno da sempre respinto al mittente le tantissime critiche che sono state mosse loro, sia in relazione ai contenuti di molti testi che in relazione ad alcuni video.
I Rammstein passeranno alla storia per il forte attaccamento alla propria identità; sono stati in grado di ottenere un successo mondiale cantando in tedesco-lingua dal suono molto duro, presentandosi al pubblico con grande originalità e grande seduzione. La loro musica potente e la capacità di evocare atmosfere cupe, unite alle trovate sceniche ed illuminotecniche, li ha resi la band tedesca più famosa della storia.
Il concerto è poi proseguito con Wollt ihr das Bett in Flammen sehen? (Volete vedere il letto in fiamme?), e con molti dei brani che compaiono nella raccolta Made in Germany, uscito a novembre 2011. Tra esse anche la bellissima Mein Herz brennt (Il mio cuor brucia), il cui testo si rifà in parte ad alcune storie della buonanotte per bambini. Tante sono le citazioni letterarie (perfino a Goethe) contenute nei brani, ulteriore testimonianza dell’attaccamento alla propria terra. In scaletta anche Mein Teil, Ich Will, Du Hast. Gran finale con Pussy, canzone dallo sfondo sessuale molto esplicito, durante la quale Lindemann ha cavalcato l’immancabile cannone che spara schiuma e coriandoli.
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