Il muretto-panchina al posto della piazza sognata dagli Antonini

UDINE. Doveva nascere una piazza e invece è rimasto un “sarcofago”. Può essere narrata così, con ironica sintesi, una delle storie udinesi tratte dai libri che di continuo sono dedicati ai personaggi della città, alle famiglie in vista, ai palazzi, in una ricerca e in un appassionato impegno che sono la base su cui si regge la civiltà di un luogo sviluppatosi ai piedi di un colle contornato da rogge.
Questa estate ha regalato a Udine uno dei libri più interessanti degli ultimi decenni, voluto dalla Provincia (che ne ha fatto una sorta di colto “canto del cigno” vista la sorte cui va incontro) e dalla Fondazione Crup.
Stampato dall’editore Gaspari, sotto l’egida della Deputazione di storia patria per il Friuli, il volume “Gli Antonini, cittadini di Udine e signori di Saciletto” è stato presentato in luglio correndo il rischio di passare un po’ inosservato vista la stagione. Invece rappresenta un punto fermo, capace di alimentare le conoscenze e l’immaginario di una città che attraverso la cultura vuole tirarsi su il morale di fronte alle inquietudini e alle incertezze del momento.
Il volume, curato da Liliana Cargnelutti, Giuseppe Bergamini e Anna Frangipane, è un contenitore prezioso per rianimare lo spirito udinese in tutte le diramazioni.
Le vicende degli Antonini, famiglia carnica di Amaro scesa in città nel Cinquecento dopo una prima sosta a Venzone, sono in parte note attraverso una galleria di imprese, volti, exploit economici che hanno segnato per quattro secoli la vita udinese.
Una famiglia attiva, piena di spirito imprenditoriale, anche se divisa al suo interno in più rami, mai bellicosa però, che rafforzava il prestigio attraverso matrimoni ben programmati, acquisizioni immobiliari e costruzione di palazzi in grado di annichilire il resto della nobiltà.
Per tale motivi gli Antonini ci hanno lasciato i palazzi più importanti di Udine, cinque in tutto, nessuno dei quali banale, tutti con un senso ben preciso. Nel raccontarne origini e dettagli artistici, le ricerche di Cargnelutti, Bergamini e Frangipane si incrociano intessendo una trama da romanzo per ricchezza di notizie e vivacità narrativa. Lasciando ogni sorpresa a chi leggerà il libro, ecco alcune curiosità.
Cominciamo da quella piazza mancata. Udine, si sa, ha una partita aperta con le sue piazze. Stringi stringi, la più vissuta è San Giacomo, la più spettacolare è piazza Libertà, la più funzionale è Giardin Grande, le più inutili sono le piazze Duomo, Venerio e XX settembre.
Poteva andare peggio, ma anche meglio. Ma la vera grande piazza udinese doveva essere un’altra come si scopre attraverso l’epopea degli Antonini. Due dei loro super palazzi sono l’attuale sede universitaria e l’ex Banca d’Italia in via Gemona.
Ebbene, lì davanti si voleva far spazio abbattendo case e casupole fino a piazza San Cristoforo e liberando un isolato, come era nei desideri di Napoleone che diede un’occhiata alla zona nel 1807 durante una visita.
L’idea era quella di realizzare «la più vasta piazza del. la città, tanto per comodità come per la presenza grandiosa e architettonica del classico palazzo Antonini», c’era scritto in una cronaca dell’Ottocento.
E al centro qualcuno pensava di metterci una fontana monumentale, da dedicare a Giovanni da Udine, un po’ come è avvenuto in San Giacomo e sul terrapieno di piazza Libertà.
Tanto fervore finì in nulla, il che si ripetè negli anni Trenta del Novecento quando spuntò un altro progetto per abbattere le casette e realizzare un teatro. Niente neppure quella volta.
Ulteriore scatto d’ingegno nel 1958 quando il piano regolatore ipotizzò di demolire metà isolato per formare una piazza che prolungasse il cortile di palazzo Florio fino a palazzo Antonini.
Niente neppure allora. Poi nel 1983 il Comune invitò quattro prestigiosi architetti (Aymonino, Benevolo, Polesello, Valle) a studiare una soluzione. I loro progetti vennero premiati ex aequo, ma senza esiti successivi.
La montagna alla fine partorì il topolino, perché dopo tanto riflettere si decise un intervento minimo di arredo urbano con il muretto-panchina tra le vie Gemona e Antonini, ribattezzato dagli udinesi con il nome di “sarcofago”.
Piccole curiosità, ma Udine è fatta di queste minuzie. Sugli Antonini c'è molto altro da dire, a cominciare da come il conte Floriano coronò un grande sogno facendo progettare il suo palazzo dal sommo Andrea Palladio. L’avvio della costruzione avvenne nel 1556, quindi 460 anni fa.
Della vicenda si sa già molto, ma sfugge un po’ la storia personale del committente, il raffinato Floriano, nato a Udine il 25 gennaio 1526, un intellettuale mandato a studiare a Pisa da cui tornò pieno di cultura, di buon gusto e di amicizie influenti.
Si distingueva tra i nobiluomini per lo sfarzo nell’abbigliamento, ornato di argento e velluto. Una volta lo mandarono a Venezia per l’elezione di un doge e lui ci andò con 45 accompagnatori. Si dedicava alle lettere e all’arte, tenendosi lontano da faide e delitti vari.
Abile oratore, ambizioso, volle lasciare un segno perenne con quel palazzo firmato da uno dei vip dell’epoca, il Palladio, giunto a Udine per costruire l’arco Bollani sulla salita del castello.
Quando morì, senza avere prole maschile, Floriano lasciò tutto alle figlie Violante e Clemenza, scandalizzando e contravvenendo alle regole del tempo. Fu un signore fino in fondo.
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