Il Fvg e altre due regioni (più Bolzano) in zona "rosso scuro": cosa significa e cosa potrebbe cambiare per la nostra regione

UDINE. Il Friuli Venezia Giulia, esattamente come Emilia-Romagna, Veneto e Provincia di Bolzano, rischia di essere inserito, a breve, tra le zone “rosso scuro” da parte dell’Unione europea finendo, cioè, nell’elenco dei territori considerati a maggior rischio pandemico e per i quali Bruxelles suggerisce – ma non ordina – ulteriori misure limitative degli spostamenti.
 
Nel corso dell’ultimo incontro (virtuale) tra capi di Governo e di Stato dell’Unione europea, infatti, è stato deciso di inserire un nuovo livello di rischio oltre ai tre tradizionali già in vigore – e cioè rosso, giallo e verde – proprio per indicare un territorio particolarmente esposto alla pandemia perché tale da registrare un’incidenza di oltre 500 casi di Covid-19 ogni 100 mila abitanti negli ultimi 14 giorni.
 
L’idea è quella di scoraggiare i movimenti non necessari delle persone anche all’interno dell’Unione europea salvaguardando, però, il mercato comune. Così, la numero uno della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha proposto la nascita di una nuova zona di pericolo, quella “rosso scuro” appunto, all’interno della quale sarebbero applicate ulteriori restrizioni alla mobilità dei cittadini. A chi parte da queste aree, in particolare, verrebbe chiesto di effettuare un tampone che attesti la negatività al coronavirus costringendolo poi all’arrivo, in un Paese dell’Unione, alla quarantena prevista da quello Stato, normalmente da una a due settimane.
 
In sintesi, la Commissione europea ha presentato l’elenco delle regioni che vengono considerate ad altro rischio. Nel pacchetto, tra le varie zone, spiccano l’intero Portogallo e ogni angolo dell’Irlanda, quasi tutta la Spagna, sezioni di Francia e Germania e, appunto, le quattro regioni italiane, in cui l’incidenza è maggiore. Al 21 gennaio, nel dettaglio, la Provincia di Bolzano risultava con 696 casi cumulativi ogni 100 mila abitanti, il Veneto con 656, il Friuli Venezia Giulia con 768 e l’Emilia-Romagna con 528.
 
Attenzione, però, perché al momento siamo soltanto nel campo delle ipotesi e comunque la Commissione europea ha previsto una serie di deroghe per garantire, come accennato, la libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione. Per adesso, infatti, la mappa presentata dalla Commissione è informale, perché figlia di una proiezione redatta con i dati attualmente a disposizione. La nuova catalogazione ufficiale sarà pubblicata nei prossimi giorni – presumibilmente giovedì – dopo ulteriori verifiche dall’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione delle malattie.
 
Non soltanto però, perché le indicazioni della Commissione europea sono semplici raccomandazioni – al vaglio dei Paesi europei in questi giorni – e non degli obblighi di legge, ma comunque, anche in caso di applicazione delle restrizioni, queste non si applicherebbero né ai transfrontalieri – economici e familiari – nè ai lavoratori dei trasporti. Da un punto di vista strettamente pratico, poi, la Commissione europea non si limiterebbe a chiedere la stretta per chi proviene dall’estero, ma vorrebbe che i singoli Stati membri l’applicassero anche all’interno dei propri confini nazionali.
 
L’Italia, tanto per capirci, dovrebbe vietare a un residente in Friuli Venezia Giulia di andare, ad esempio, in Lombardia se non previo tampone negativo e quarantena all’arrivo. Difficile, per non dire impossibile, però, che il Governo si allinei a queste richieste anche perché, di fatto, sono già in vigore con il divieto di muoversi da una regione all’altra contenuto nell’ultimo Dpcm di Giuseppe Conte e, nella fattispecie, valido fino al 15 febbraio. Certo, da un punto di vista politico, però, l’eventuale zona “rosso scuro” alle quattro regioni – area che si allinea alla visione del professor Fabio Barbone che ha spiegato nitidamente come la pandemia adesso sia concentrata a Nordest, Slovenia compresa – diventerebbe tutto tranne che un segnale positivo.
 
E per questo, probabilmente, Massimiliano Fedriga, Luca Zaia e Stefano Bonaccini hanno diramato una nota comune proprio per stigmatizzare l’ipotesi in campo evidenziando il ruolo svolto a livello di prevenzione. «Imporre ai cittadini delle nostre Regioni l’obbligo di test e quarantena per poter viaggiare in Europa – hanno detto i tre presidenti – significherebbe penalizzare le amministrazioni che effettuano il maggior numero di tamponi e non, come sarebbe invece necessario, operare una valutazione su parametri epidemiologici oggettivi.
 
Il dato dell’incidenza sui 100 mila abitanti implica pertanto che la valutazione viene operata sul numero assoluto di positivi riscontrati. Ne deriva dunque una situazione paradossale – concludono i tre governatori – che, anziché incentivare le amministrazioni a potenziare i controlli sui cittadini, andrebbe a premiare quelle realtà che, per sforare i parametri indicati, dovessero deliberatamente decidere di ridurre la somministrazione di tamponi».
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