Il direttore di Mondadori: «Siete diventati strategici»

Il manager Riccardi: la festa è cresciuta in qualità e attenzione da parte dei lettori «Evento clou per l’editoria». Gli scrittori locali? «sono come l’officina parmigiana»

di Stefano Polzot

Un festival cresciuto in qualità e attenzione da parte dei lettori, tant’è che le case editrici lo considerano, al pari di Mantova, un palcoscenico ideale per la presentazione di nuovi libri dopo il periodo estivo. Il giudizio non è espressione dell’autocelebrazione locale, ma viene da Antonio Riccardi, direttore editoriale della Mondadori libri, il maggiore editore in Italia, in questi giorni a Pordenone per seguire il festival.

Come giudica il festival pordenonese?

«Per una casa editrici i festival sono un’occasione importante e quello di Pordenone è senza dubbio speciale perché è cresciuto di intensità e qualità organizzativa, così come nella considerazione di chi poi ha a che fare con i libri ovvero gli editori e l’industria culturale. Il gradimento da parte del pubblico è palese, palpabile nell’attenzione con cui vengono seguiti gli incontri. Sono stato un appassionato frequentatore, negli ultimi anni, del festival di Pordenone, e mi accorgo che molti miei colleghi l’hanno ultimamente scoperto».

Per Mondadori è un’occasione per lanciare nuovi titoli?

«Senza dubbio, quando dobbiamo programmare le uscite dopo il periodo estivo e prima dell’ultima parte dell’anno che è strategica per il mercato editoriale segnaliamo ai curatori del festival pordenonese alcune proposte che poi liberamente decidono se accogliere. Questa attenzione, che riscontro anche in altre case editrici, testimonia la considerazione che tra gli operatori del settore ha conquistato il festival».

Ormai è guerra aperta tra Pordenone e il Festivaletteratura di Mantova per strapparsi gli autori più prestigiosi?

«Mantova ha la primogenitura, anche se è il prodotto di un’esperienza anglosassone importata in Italia. E’ bello vedere che questa formula è stata poi mutuata a Pordenone, ma anche in altre realtà: c’è il festival della filosofia, quello di poesia, della scienza e della mente. In ognuno di questi appuntamenti si percepisce la passione dei lettori verso questa formula che rappresenta uno straordinario motore culturale. Pordenone rispetto a Mantova ha la caratteristica di prestare grande attenzione alla poesia probabilmente grazie al fatto che il direttore artistico Gian Mario Villalta è lui stesso un poeta. E’ un grande merito perché di poesia ci si occupa sempre meno e come casa editrice siamo pressoché gli unici che la coltiviamo».

Lei ha citato alcune delle feste del libro che sono nate in Italia: non ne teme l’inflazione che penalizzerebbe tutti?

«Non vedo questo rischio, anche perché i lettori continuano a manifestare gradimento nei confronti della formula dei festival. Per Mantova e Pordenone, poi, che hanno superato il decennio di vita, si è realizzata una radicata abitudine al format che rappresenta una garanzia».

Lei parteggia per la formula generalista o specializzata?

«In effetti accanto a Mantova e Pordenone, festival generalisti, si è assistito alla nascita di iniziative specializzate anche se la necessità di presentarsi a un pubblico sfaccettato e popolare porta inevitabilmente a spaziare nei generi al di là delle intenzioni di partenza».

Festival sempre più difficili, però, da organizzare a causa dei tagli alle risorse culturali. Non teme un impoverimento di questo filone?

«Il vero miracolo dei festival della letteratura è che si rinnovano ogni anno tra mille peripezie e difficoltà. E’ giusto che sia gli editori, sia i lettori abbiano la percezione dell’enorme fatica, del vero e proprio miracolo che ogni anno si compie con l’organizzazione di queste iniziative. Non devono essere considerate scontate, così come vanno mantenute e conservate. Tutto ciò si inserisce nel quadro più generale delle difficoltà in cui versano gli operatori che si occupano di promozione culturale».

Mauro Corona, Mauro Covacich, Tullio Avoledo, Gian Mario Villalta, Alberto Garlini, Federica Manzon, Massimiliano Santarossa e Simone Marcuzzi sono i nomi più importanti di generazioni di scrittori pordenonesi: è un caso il fatto che siano accomunati dalla stessa origine territoriale?

«Non è mai casuale, i fenomeni hanno sempre una storia, sono frutto di una semina determinata da più elementi. Probabilmente gli influssi del Novecento in questa larga porzione del Nordest sono una componente: penso a Zanzotto, Meneghello, Pasolini, Comisso. Il territorio, probabilmente, è stato irrorato dall’attività di tali maestri e questo ha giocato un ruolo. Ci sono poi altre circostanze da tenere conto. Senza dubbio fa specie che in una città di provincia operino scrittori tra di loro molto diversi, che fanno un lavoro ottimo e hanno una fisonomia individuale molto chiara e autorevole, in alcuni casi autorevolissima. Pensando a Pordenone mi viene in mente quello che è successo a Parma negli anni Cinquanta con l’officina parmigiana avviata da Attilio Bertolucci. E’ un fenomeno meraviglioso perché la letteratura trova spesso proprio in provincia delle espressioni uniche e molto interessanti per un editore».

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