Il centro islamico non ci sta: "Qui nessuna propaganda"
UDINE. Quando pronunci il nome del trentunenne kosovaro Mevait Kokora ti accorgi che nella mente di chi frequenta il centro islamico udinese di via San Rocco 185 spunta un’immagine ben precisa. Capelli castani, barba folta e piuttosto lunga, leggermente stempiato.
«Ma sì, qui lo conoscono tutti» dice uno dei responsabili della struttura. «Però - sottolinea - non ha mai fatto proselitismo, non parlava mai con nessuno. E anzi, se avesse detto qualcosa sulla jihad, avremmo chiamato noi le forze dell’ordine.
Da anni ci impegnamo per l’integrazione e per il dialogo, per non venire sempre guardati con sospetto. E non vogliamo che tali sforzi vengano ingiustamente annullati a causa di terzi, in questo caso di una persona di cui non possiamo conoscere eventuali attività diverse dalle preghiere che faceva qui».
«Propaganda e proselitismo, di qualsiasi genere, qui non sono ammessi» mette subito in chiaro Alessandro Spartà, rendendosi portavoce del centro “Al Salam” (che significa “La pace”) frequentato da Kokora.
«Non lasciamo che venga fatta propaganda di qualsiasi genere e sicuramente non ci siamo accorti che abbia fatto proselitismo» prosegue, ricordando di aver visto Kokora per le preghiere giornaliere: «Veniva qua a pregare, ma non era sempre a Udine.
Passavano anche dei mesi che non lo vedevamo. Era molto riservato. Negli ultimi tempi dava l’impressione di avere qualche problema, era sfuggente e pensieroso, ma non si confidava con nessuno, nemmeno con i suoi connazionali».
Dalla moschea di San Rocco esce, al termine della riunione, un altro appartenente al direttivo. «Sembrava un tipo tranquillo, ma era piuttosto schivo.
Però non ha mai creato problemi, mai una parola brutta» riferisce e poi, quando viene a sapere che quel giovane è sospettato dalla polizia di «aver abbracciato l’ideologia jihadista e di aver intrecciato rapporti anche internazionali con persone attestate su posizioni radicali a favore della jihad», cade dalle nuvole.
«A dire la verità - precisa - non era un frequentatore assiduo del centro, veniva una volta ogni tanto. Ma noi non sapevamo nulla di tutto ciò. Sappiamo che, non avendo una dimora, ogni tanto chiedeva ospitalità a qualche conoscente e alle volte è stato anche accolto all’interno del centro per la notte, in qualche raro caso in cui non era riuscito a trovare alcun rifugio. Avevamo saputo che circa tre anni fa aveva perso il lavoro e, da allora, abbiamo notato un cambiamento, una crescente preoccupazione, questo sì».
Stando al comunicato stampa diffuso dall’ufficio di Gabinetto della questura, il cittadino kosovaro, in Italia dal 2001, non si è «mai inserito nel contesto sociale» e «avrebbe anche partecipato ad un campo addestrativo in Turchia propedeutico al suo intervento in Siria per intraprendere la jihad».
Successivamente, «non essendo riuscito a trasferirsi in Siria, avrebbe intrapreso un’attività di proselitismo per il reclutamento di aspiranti combattenti anche nella moschea friulana».
La ricostruzione dell’attività di Mevait Kokora effettuata dagli investigatori però, come detto, non sembra corrispondere alla percezione di chi abitualmente si reca centro islamico, in media un centinaio di persone.
«Per quanto ne so - spiega infatti un frequentatore della moschea - lui veniva qui come tutti gli altri, non mi sembra ci sia nulla di vero in quanto è stato detto». «Non ho mai conosciuto nessuno che sia andato a combattere in Siria - rimarca ancora Spartà -, potremmo parlare fino a stasera, ma a dire il vero non voglio aggiungere altro.
Anche perché in passato, quando abbiamo dichiarato qualcosa, le nostre frasi sono state stravolte. Certe cose servono solo a diffondere insicurezza e a infangare la nostra associazione per la quale lavorano con impegno diversi volontari».
«Queste notizie ci fanno male - gli fa eco un amico -, noi abbiamo comprato questo edificio con i nostri soldi e viviamo qui in armonia con tutti. In passato ci è capitato che si sia presentato qualcuno per pregare e poi quello stesso volto lo abbiamo visto sul giornale perchè era uno spacciatore arrestato dalla polizia. Ma noi come facevamo a saperlo?
Le nostre attività sono sotto gli occhi di tutti, abbiamo un telecamere che controlla 24ore su 24 il centro. Non vogliamo che l’opinione pubblica confonda le cose».
Ed è proprio per questo che ieri siamo andati al centro centro “Al Salam”, che si trova a due passi dalla caserma Berghinz, tra le case. Perchè l’esigenza di tutti è proprio quella di evitare di generalizzare e di far comprendere che da un lato in Friuli ci sono oltre diecimila musulmani che vivono tranquillamente, lavorano e mandano i figli a scuola.
E dall’altro ci si sono le forze dell’ordine che compiono il loro dovere, monitorando tutte le situazioni che potrebbero essere potenzialmente pericolose per la sicurezza pubblica. Ed è proprio in questo contesto che dal Ministero dell’Interno è arrivato il provvedimento di espulsione.
«Plaudo al lavoro della polizia - commenta il consigliere comunale Hosam Aziz che siede nelle file della maggioranza (Alternativa) -, mi tranquillizza sapere che ha il territorio sotto controllo e che interviene in maniera tempestiva.
Forse non c’erano le condizioni per prendere provvedimenti di altro tipo, però mi domando se un semplice accompagnamento alla frontiera non comporti forse rischi per altri».
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